lunedì 7 ottobre 2019

Emilio Casalini

A tu per tu con Emilio Casalini
Emilio Casalini è padovano ma vive a Roma. E’ un giornalista televisivo, conduttore radiofonico e scrittore. Ultimamente molto interessato, oltre al concetto di Bellezza, alla Bellezza della Sicilia sia dal punto di vista storico che paesaggistico. - Emilio, da sempre ha portato avanti un pensiero predominante cioè la narrazione di noi stessi tramite il nostro paese. Coincidono in una parola: identità. Parola di cui si sta abusando molto, recentemente. Perché l’identità è la stratificazione di mille storie, mille tasselli di un mosaico dove le tessere sono tutte diverse l’una dall’altra. E noi siamo figli della nostra terra, perché non la vogliamo raccontare bene? Sarebbe un modo per conoscerla meglio e per conoscere meglio anche noi stessi. Quando poi racconti bene un luogo ci tieni a mantenerlo accogliente, pulito, bello. E quindi la narrazione è una sorta di percorso di autocoscienza collettiva sul valore di ciò che ci circonda e siamo. Per raccontare bisogna conoscere e questo è il primo passo. Prendere consapevolezza del valore il secondo. Goderne i frutti il terzo. - Nel 2014 un ebook “Fondata sulla bellezza” per Sperling e Kupfer, poi nel 2015 su Radio 2 “Bella Davvero” e infine nel 2016 “Rifondata sulla bellezza” per Spino Editore. E’ un viaggio a tappe. E ce ne saranno molte altre spero. Il libro è una sorta di percorso in costante evoluzione che mi accompagna nella mia ricerca, è un libro aperto, vivo. Raccontare è il mio mestiere. Per molti anni, facendo l’inviato della trasmissione di Rai3 “Report” ho cercato di capire perché succedevano alcune cose nel nostro Paese. Oggi cerco di capire perché non siamo capaci di valorizzare la nostra più grande ricchezza che è l’eredità secolare, unica al mondo, di cui siamo circondati. Oltre a capire provo anche a dare delle risposte, delle strade che potremmo percorrere per cambiare. Questa oggi è la mia quotidianità: lavorare al cambiamento dell’Italia affinché diventi una Repubblica fondata sulla bellezza. Ossia sul nostro patrimonio materiale ed immateriale. Di cui forse non siamo abbastanza degni visto come trattiamo la nostra terra.
- Ci parla del suo concetto “Tornare al turismo dei viaggiatori e non solo turisti”? Sono definizioni e quindi vanno prese nel contesto di ogni frase. Non c’è nulla di male ad essere turisti. Ma quando pensiamo ai viaggiatori immaginiamo persone che hanno voglia di fermarsi di più in un luogo, di condividerne la quotidianità. E questo comporta uno scambio importante di denaro ed emozioni. Perché non si tratta di ricevere solo soldi ma persone che ci lasciano piccole parti di sé. Ma per fare questo dobbiamo metterci nei panni di chi arriva, capire quanto poco siamo ancora accoglienti. Non si tratta di dare da mangiare e dormire ma proprio un concetto di ospitalità simile a quello di un amico che ci viene a trovare, quando mettiamo a posto la casa, prepariamo i cibi migliori, lo portiamo a vedere le cose più belle, quelle che abbiamo dentro al cuore. Ma dobbiamo sempre ricordarci che ognuno ha i viaggiatori o i turisti che si merita. Ecco l’accoglienza del futuro avrà un valore solo se intesa in questo modo. E porterà un valore aggiunto anche economico molte volte superiore a quello attuale. Parliamo di occupazione e quindi possibilità di non doversene andare dalla propria terra. Dove un’economia funziona, lì c’è vera democrazia. - E del concetto di Empatia che ha ogni territorio con tutte le cose che contiene? Dopo il turismo classico, il turismo esperienziale dovremmo iniziare a pensare al turismo empatico. L’empatia con chi ci viene a trovare e ci paga per condividere con noi le nostre identità, si deve estendere a ciò che ci circonda. Non è solo un paesaggio ma forma la nostra coscienza; non è solo una strada, ma un luogo dove c’è storia, tradizione, memoria, identità; non è solo un piatto di pasta, ma secoli di stratificazione enogastronomica; non è solo un quadro ma un percorso di secoli nell’arte; non è solo una leggenda, ma parte della nostra memoria. Dobbiamo imparare a riconoscere il valore delle cose. Allora nasce l’empatia. Se non conosci una persona come puoi stabilire una relazione empatica con essa? Ecco, per le cose che ci circondano dovremmo iniziare a fare lo stesso percorso. - Qual è la prospettiva di Polifemo? Polifemo è un personaggio che tutto il mondo conosce. E’ un brand eccezionale che a pensarlo e renderlo conosciuto nel mondo servirebbero miliardi di euro. Invece noi lo abbiamo gratis. E’ un personaggio particolare, controverso. Sicuramente violento e crudele, ma anche poeta e musicista, come ci racconta Vitruvio. La sua storia, prima ancora che con Ulisse, si intreccia con Aci e Galatea, due amanti la cui vicenda entra perfino nei nomi di molti comuni. In quale altro luogo al mondo, non uno ma una comunità di paesi ha nel suo nome una leggenda d’amore? E’ incredibile il potenziale narrativo di tutto questo. Ma, ad oggi, nulla viene raccontato. Nulla. Un esperto di brand americano si suiciderebbe vedendo il potenziale che non sfruttiamo, loro che devono valorizzare il muro a cui si è appoggiato George Washington. Ma attenzione, il brand non è l’identità. Il brand è un simbolo che serve ad attirare l’attenzione. L’identità è la sostanza di cui siamo fatti, molteplice e stratificata. Usiamo il brand per valorizzare l’identità. Spero che prima o poi si riesca ad incominciare.

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