venerdì 26 luglio 2019

Fornazzo. Etna

L’Etna è uno dei luoghi del nostro pianeta che suscitano, in coloro che ne entrano in contatto, forti emozioni. Tutto di questo Vulcano ci emoziona, i boschi , le valli, la sua lava, si perché anche i sassi parlano, e a Fornazzo, piccolo borgo di Milo, alle pendici dell’Etna, dicono del lento scandire del tempo, dell’alternarsi delle stagioni e del duro lavoro degli uomini immutabile nel tempo. Il paesello di Fornazzo si staglia sullo sfondo del vulcano, l’aria che vi si respira è così irreale che esso sembra addormentato, soprattutto per chi “lo raggiunge dal tormento agitato delle città divorate dall’ansia”. Gli abitanti sono poco più trecento, molti di loro sono vecchi, pochi, purtroppo, i giovani, ancor meno i bambini. Però, dal volto di questa gente traspare serenità, gente, questa, che vive in simbiosi e con discrezione rispettosa della natura vista, ancora, come madre. Un posto quasi irreale, dove i bambini stanno con i vecchi e rimangono affascinati dalle loro storie, dove il postino è l’amico di tutti!
I luoghi circostanti sono quelli di sempre: abeti, larici, pini, faggi, castagni, mele… Anche i mestieri a Fornazzo sopravvivono come “U carbunaru”, che a tutt’oggi trasforma il legno in carbone.
Il borgo si trova a 800 mt di altitudine, ma arrivati lassù si avverte la magia del luogo e l’animo respira quel senso di pace di cui tutti gli angoli sono impregnati e, restando in silenzio e ad occhi chiusi, trattenendo, quasi, il respiro, si avverte, per incanto, il respiro della montagna: i fornazzesi la sentono viva.

giovedì 25 luglio 2019

Tiziana Giletto

Martedi 23 luglio presso il lido Le Palme a Catania è stato rappresentato "Un sogno a tre punte" saggio finale del Laboratorio teatrale "Come il mare" realizzato dall'Unione italiana dei Ciechi e degli ipovedenti di Catania presieduta da Rita Puglisi. Il laboratorio ha coinvolto 15 persone dai18 ai 72 anni con disabilità visiva. La compagnia è stata guidata da Tiziana Giletto, regista e curatrice dell'opera.

Alba infuocata

Languido il mare accoglie il sorgere del sole. Rosso, rovente si insinua tra gli aspri e neri scogli di vecchia lava infuocata dove ogni giorno l'uomo cerca rifugio e conforto per rinfrescarsi dalla calura estiva nelle gelide e limpide acque di Santa Tecla

lunedì 22 luglio 2019

La Scannatina

Mastr'Antria di Andrea Giostra è una raccolta di novelle. Alla lettura si evidenzia che dietro un aspetto crudo delle sue descrizioni, a volte direi brutale, troviamo le nostre origini di siciliani. Spesso ci narra dei piccoli drammi, ma sono sempre affrontati con una leggerezza e giusta ironia e, alla fine, la lettura sfocia sempre in un sorriso anche se amaro. La Scannatina
Nei trenta campi di detenzione disseminati in tutto il territorio australiano, diciottomila italiani erano impegnati a faticare nell’edilizia, nelle opere di difesa da calamità naturali, a fare strade, acquedotti, ponti, a buttare sangue e sudore sotto il sole cocente dei campi australiani. Tutto facevano gli italiani. Avevano costruito la nuova Australia. Bellu chiffari nca’ ci rietti Mussolini con la campagna della conquista della Libia nca’ finiu a frischi e pirita con la cattura di tutto l’esercito italiano in Libia nta’ guerra nto’ deserto, comu a’ chiamavanu l’alleati! L’agricoltura in Australia era molto ricca, mi raccontava mio nonno. I campi coltivati erano come mille campi di calcio messi uno accanto all’altro. C’era di tutto nta’ stu continente, racina, mele, banane, arance, pere, ananas, papaie a mai finiri. Potevano sfamare il doppio della popolazione di tutto il continente. E pì chistu il mangiare non mancava né ai prigionieri, né ai maiali, né all’esercito di sua maestà, né ai cittadini dell’impero britannico, né ai vitelli, ai montoni, alle pecore, alle capre, alle galline, ai conigli, a tutti gli animali da fattoria chi facevanu latti e uova, o pì manciarisilli. E tutto buonissimo era. Ma quanto ce n’erano di animali di manciari? A casa, in paese, la carne era un lusso. Solo il profumo si poteva sentire. Poi la domenica si preparava la pasta col sugo fatto con le ossa che si chiedevano al carnezziere il sabato sera, a’ mucciuni, prima che chiudesse la saracina. Carni picca e nienti o’ paisi! Picciuli nun ci n’eranu. In prigionia, invece, spissu si manciava la carni. - Quasi quasi nun ni poteva chiù di manciari carni ogni simana. Avevo disiu di favi fritti cu’ l’uova frischi di me matri Rosa, cunzati cun filo d’ogghio d’oliva virdi trasparenti e profumato di bontà chi mi facieva veniri un pititto sulu a talialli. Con i maiali ci facevano di tutto in prigionia, pancetta, sasizza, prosciuttu, salami piccanti, salami duci, cotenna, zampe, orecchie, cervello, liggua, mascidda, guanciale, figatu, vuriedda vogghiuti, cotechino, capocollo, lardo, struttu, frittula, sangu cruru e sangu cottu. Della scanna se ne occupavano mio nonno e i tre calabrisi. Erano organizzatissimi. Attaccavanu u’ maiali chi corde pì tinillo fermo, una a destra, una a sinistra, uno nt’arreri. Mio nonno si metteva davanti al maiale nca’ u’ taliavi nta’ l’occhi. Gli sembrava nca’ u capiva a fini chi stava faciennu. U’ taliava e iddu u’ taliava. Appena Pinuzzu, Viciuzzu e Cicciuzzu lo tenevano fermo, immobile, per un solo secondo, Antria alzava la zappa e con tutte le sue forze, con un colpo secco e deciso, lo colpiva dritto dritto tra gli occhi. Lu cranio si scatasciava. Lu maiali iccava na’ vuci sicca e sorda. Strammazzava tuttu e s’accasciava finutu. Un corpu sulo. Si sbagliava eranu tutti futtuti. Non lo potevi più tenere e lu dannu chi ti faciva nun si poteva cuntari. Comu quannu so’ patri, Mastru Piddu u’ sciancatu, quannu me nonno era picciutteddu, ci dissi d’ammazzallu iddu u’ maiali pì Natali. Antria lo aveva sempre taliatu fari e so’ zii e a so patri Piddu. Mai l’aveva fattu iddu. Mai. Era u’ capu famigghia n’ca’ avevi ammazzari u’ maiali pì Natali. Ma dù Natali Antria aveva quinnici anni e so’ patri lu vosi spruvari, lu vosi fari crisciri, lu fosi fari cristianu, omu. Un omo era oramai, un omo granni, giovani e forti, massaru e ncignusu. Accussì ci diceva sempre so matri, donna Rosa a furnara, “Ora sì granni, Antria. Si avissi a mancari to’ patri, sì tu u’ capu famigghia. U’ capisti?”. Ma picchì aveva a’ mancari so patri? Ma a quei tempi si pensava sempre al peggio per prepararsi al meglio. Si prevedevano tutte le possibilità, tutte le ipotesi, tutte le situazioni, per essere pronti, per essere preparati, per saperle affrontare e superare le difficoltà della vita che erano quotidiane. E mai si scoraggiavano. Se moriva qualcuno, si piangeva, si faveva u’ cunsulu, si arricivivano i parenti e l’amici, si vestievanu a lutto di nivuru, e subito dopo si riprendeva a lavorare perché la famiglia era prima di tutto e non ci si poteva fermare. So’ patri, Piddu u’ sciancatu, u’ taliò e ci rissi: “Antria, oggi u’ maiali lu scanni tu.” Iddu u’ taliò e senza pensari un secondo, pigghiò la zappa, ma a diri la verità, cacatu era. Mai l’aveva fattu e n’anticchia si scantava a sbagliari, si scantava a’ scannari u’ maiali. E se sbagliava? E se si dava un corpu ca’ zappa n’te pieri? E se il maiale riusciva a scappare? Era tutto un rito la scannatina del maiale per Natale. La prima cosa da fare era di preparare le corde per tenerlo fermo, bastava solo un attimo, doveva stare fermo solo un attimo. Erano in tre che tiravano le corde imbracate nella testa del maiale e nelle zampe posteriori. Uno a destra, uno a sinistra, uno dietro, e mio nonno quindicenne davanti con la zappa in mano pronto per dare il fendente che l’avrebbe scannato. Erano come una squadra di formula uno della Ferrari, che per cambiare le quattro gomme ci mette due secondi. Così, si schierarano zio Sariddu a destra, zio Vituzzu a sinistra, zio Santinu darreri, me nonno ca’ zappa davanti o’ maiali, e cu Mastru Piddu u’ sciancati allatu prontu cu’ cuteddu di cannizzieri pì rapirici i cannarozza e nun ci fari arrisieriri u’ sangu. La velocità era determinante. In un nanosecondo il maiale fu imbracato e le quattro postazioni erano prese. La testa del porco era immobile e a dù puntu so’ patri Piddu ci iccò na vuci “Ora Antria, ora, cafudda, cafudda, subitu!” Preso come da un’improvvisa scossa elettrica, Antria di scatto alzò la zappa, e con tutta la forza che aveva addosso colpì il maiale dritto in fronte cu’ l’occhiu du zappuni. Il porco davanti a lui si vitti rapiri u’ ciriveddu, il sangue schizzare a frusciu dappertutto a ritmo frenetico di una pulsazione che di lì a poco avrebbe cessato per sempre. Forse, pensai ascoltando mio nonno Antria, Tarantino aveva preso dai racconti dei suoi nonni, come io adesso dal mio, le scene dei suoi film di scannamenti. Il maiale si accasciò, le tre postazioni si erano immediatamente spostate a legare le zampe posteriori e a sollevarlo nto’ ferru a T piazzato tra le due pareti della stalla. Con una forza e una velocità imprevedibili, in un attimo il maiale si ritrovò sollevato a testa in giù. So’ patri Piddu, cu’ putenza c’infilò u’ cuteddu nte’ cannarozza e il sangue cominciò a riempire il cato che zio Sariddu intanto aveva messo fulmineamente sotto la testa del porcu. U’ sangu scorreva di un rosso corposo, fluido, fumante, puzzolente di una vita appena astutata. “Minchia corpu, Antria. Bravu. Bravu. Accussì si fa. Ora omo sì”. U’ saggu era unneghiè, tutto aveva annigghiatu. Antria taliò a so patri, poi taliò u’ porco scannatu, lassò la zappa n’terra e in bagniu appotti a’ ghiri di cursa. Prima cacò, poi vomitò. Ma a so’ patri nienti mai ci rissi. Da allora, ogni anno, il maiale per Natale lo scannava Antria. Mastr’Antria.

venerdì 19 luglio 2019

Il Parco Naturale dell'Etna

Il parco dell’Etna è un piccolo lembo di territorio che oltre a piccole affinità con altri parchi esistenti, si caratterizza, soprattutto, per le forti diversità proprio per il fatto di essere un vulcano attivo dal quale provengono particolarità specifiche ed uniche.
In un tempo ormai lontano, l’ambiente naturale viveva in una perfetta simbiosi con l’uomo che, nelle sue opere, si fondeva e si confondeva con esso, senza mai sfruttarlo o usarlo. Negli anni più recenti, il rapporto uomo - natura cambia, non sono più così vicini, l’azione dell’uno, da rispettosa diviene aggressione, e rapina. E’ proprio per questo che nasce l’esigenza di conservare la natura con l’idea del Parco, per proteggere questo ambiente naturale invidiato da tutto il mondo. Il parco dell’Etna si estende dalla vetta alla cintura superiore dei paesi etnei, per arrivare fino a pochi chilometri dal mare!
Il nostro è un patrimonio unico, sull’Etna coesistono colate laviche recenti con nessuna forma di vita, ove regna il silenzio e il rumore del vento, e colate più antiche nelle quali sono presenti quegli elementi che caratterizzano la nostra flora: pini, faggi, ginepri e, soprattutto, le affascinanti betulle. Scendendo più a valle, proprio sui fianchi della montagna, si trovano querce e castagni, e poi, nei terrazzamenti creati dalle braccia dell’uomo, peri, meli, viti, noccioli e pistacchi. Ognuno di loro si ambienta e caratterizza un angolo della nostra terra. Ciascuno di questi elementi ha fatto risplendere la zona il cui cresce: le mele ( quelle tipiche nostre sono le “deliziose”, “cola” e “gelato cola”, e le pere di Milo, le viti e il vino di S. Venerina e Zafferana, i noccioli, che in inverno danno l’impressione di essere un mare di lava, e che a primavera germogliano e fanno esplodere di luce la zona, intorno a Castiglione di Sicilia, del loro verde, il pistacchio ormai inteso l’oro verde di Bronte.
E’ ovvio che, immersi in questa vegetazione vivono numerosissime specie preziose di animali: il Pettirosso che in inverno, alla ricerca ti temperature più miti, scende a quote più basse. La Tortora, che arriva dall’Africa in aprile-maggio per nidificare nei nostri boschi, e ripartire prima dell’arrivo dell’autunno. La Poiana che vive in territori a vegetazione bassa per potere più facilmente trovare le sue prede: rettili, roditori, conigli. Altre specie come Allocchi o Barbagianni che si nutrono di piccoli mammiferi, vivono, abitualmente, in prossimità di caseggiati rurali abbandonati.
Un luogo affascinante il parco dell’Etna, che deve essere vissuto oltre che descritto. Luogo da salvaguardare, rispettare e assecondare, soprattutto quando l’Etna si “sveglia” e rumoreggia scuotendo i terreni impietosamente. Ma noi sappiamo che il gigante è buono e con pazienza attendiamo che riprenda il suo letargo.

lunedì 15 luglio 2019

NON ANCORA ultimo

Non lo chiamò perché pensava che non fosse il modo giusto per chiarirsi: però, non si sentirono più. Le lacrime a quel ricordo scendevano giù copiose e inarrestabili, non riusciva più a frenarsi e un dolore le spaccava il petto. All’improvviso, sentì una piccola mano che delicatamente le toccava la spalla. Si girò, e, con gli occhi appannati per le lacrime, vide una bambina dai lunghi capelli neri tenuti con una coda, i vestiti che indossava erano sgualciti, sembrava proprio che nel tempo avessero avuto diversi padroni. – Perché piangi? – le disse la bimba – anche il tuo papà non torna dal mare? Il mio manca da molti giorni e la mamma è disperata, non ha più niente da farci mangiare. Tu ne hai fame? Quando torna il mio papà ti darò qualcosa. – Marisa per qualche secondo rimase senza parole, anche perché dietro alla bambina vide un altro bambino più piccolo, sporco e con tutto il moccio che gli scendeva sul viso. – No, io …- stava per parlare quando un rumore fortissimo le fece girare la testa per guardare. Era uno stormo di tortore che, smesso di piovere, si rimetteva in volo. Poi si voltò per rispondere alla bimba ma non c’era più né lei né l’altro che aveva appena visto. Si alzò e cominciò a cercarli, corse pure, ma ciò che vide fu solo il barista che sistemava le sedie ed il tavolino e le donne frettolose che, con i pacchi della spesa, tornavano a casa a preparare la cena. Continuò a guardarsi attorno ma erano spariti, spariti proprio come un sogno appena svegli per un rumore. Cosa era successo? Aveva avuto una visione? Però il dolore era passato, anche le lacrime si erano fermate. Si sentiva più leggera. Sembrava un segno, era serena, quel luogo era veramente miracoloso. Continuò a girare e curiosare per le stradine, poi decise che per cena sarebbe andata in un ristorante a mangiare come si deve. Era strano, ma, si sentiva addosso la speranza e la sua vecchia grinta, forse non era andata come pensava, forse doveva ancora lottare, non poteva fermarsi… non ancora!

domenica 14 luglio 2019

L'Ombra della luna

Vi segnalo il libro di Veronica Dei, un romanzo contemporaneo con qualche sfumatura di gotico. E' disponibile su Kindle Unlimited a £ 0,99
Ellis torna a New Orleans, sua città natale, per il funerale del padre con cui non parlava più da anni. Una volta lì, si ritrova a dover gestire una situazione quasi surreale: lui e suo fratello Lil, sono vittime di una maledizione. Con l'aiuto di Tessa, una bellissima e misteriosa etnologa di cui finirà per innamorarsi, Ellis dovrà mettere da parte il suo scetticismo e ritrovare l'Ombra della luna, se vuole salvare Lil e se stesso. LINK ACQUISTO: https://amzn.to/2XczgSz

FOLLIA DEI TEMPI

Una volta si moriva perchè un bomba veniva lanciata sui centri abitati.
Oppure perchè si veniva costretti ad andare in guerra a combattere per la Patria per dei motivi nemmeno conosciuti ai ragazzi sul fronte.
Oggi, follia del nostro tempo, si muore per provare ebrezze artefatte, per alcool, per droga o per un video in diretta mentre si guida...e magari con gente a bordo...magari con i figli innocenti e inconsapevoli di avere per padre un BALORDO!

sabato 13 luglio 2019

NON ANCORA

Di una cosa era certa, pur nella consapevolezza che la loro storia non potesse andare avanti, il solo pensiero di lui le accarezzava le guance e la mente, e, nonostante tutto, continuava a rappresentare la parte più bella della sua vita. Lei lo amava da sempre, ma, adesso, un dubbio l’aveva assalita: lui l’aveva mai amata o era stata una passione come la squadra, un cane, un hobby? Piangeva pensando a questo, era stata sempre convinta che lui fosse innamorato di lei perdutamente e adesso non ne era più sicura. Eppure pochi mesi prima, era estate, era stata lì con lui. Insieme, tenendosi per mano come lui soleva fare affettuosamente, avevano gioito di quella luce, del mare, e di tutta quella gente che come loro girava per quelle stradine, ridendo e ciarlando di tutto e di niente, proprio come si fa quando si è in vacanza. Un pomeriggio, Paolo, le aveva detto che voleva andare a Vendicari. – Sono venuto diverse volte qui, ma non ci sono mai stato, dicono che sia oggi una delle zone tipiche, per i pantani, più rappresentative d'Europa ed è conosciuta in tutto il mondo. Mi piacerebbe visitarlo con te. – Passarono un pomeriggio dolcissimo. Il luogo, carico di passato, pare che i primi insediamenti partono dalla preistoria, non poteva lasciare delusi neanche due innamorati che non avevano, di fatto, occhi che l’uno per l’altro. E poi la spiaggia: candida con un mare che sfiorava il turchese. Avevano adagiato i loro teli da bagno e lì, in quel posto da favola, avevano trascorso un pomeriggio felice! Mentre continuava a rodersi e a ferirsi, il profumo che veniva da una di quelle casette adibito a bar le fece venire una gran fame. Effettivamente si erano fatte le due e il suo stomaco reclamava pietà, lui era insensibile all’amore! Decise così di fare un pranzo veloce lì stesso e andarsene, dopo, a riposare. Il pomeriggio Crollò, nel suo letto, la notte prima aveva dormito quasi niente, così non sentì la burrasca che nel frattempo ci fu. Quando nel pomeriggio uscì dovette chiedere alla “ regina madre “ la cortesia di un ombrello. – Prenda quello che le piace, li teniamo qui per questo, non sempre quando si va fuori uno si ricorda di portarselo dietro! - - Forse lo si fa per buono augurio, non piace a nessuno pensare alla pioggia se si è fuori casa! – rispose Marisa. La signora scoppiò a ridere e anche lei rise di cuore, era da giorni che non lo faceva. Che quel posto fosse magico? Tornando a gironzolare per le stradine sotto quella sottile pioggerellina, però, tornò nuovamente ai suoi tormenti. Forse non era solo colpa di Paolo, lui non l’aveva più cercata proprio perché sapeva che la sua vita non gli permetteva di farla felice, poi erano tornati insieme, ed era bello come prima, forse di più, sicuramente molto di più! Probabilmente, però, qualcosa era cambiata, lui era ancora più impegnato e lei più bisognosa di affetto, e così, dopo solo poco tempo, lei divenne nervosa. Una sera, dopo molti giorni che non si vedevano, Paolo mancò all’ennesimo appuntamento e non la chiamò, Marisa aspettò tutta la sera e poi tornò a casa avvilita, sconfortata, ma, soprattutto, umiliata. La mattina dopo aspettò una sua chiamata, inutilmente, ma, forse lui non aveva avuto nemmeno il tempo per farlo, ma Marisa era troppo abbattuta per poterlo giustificare. Quando si decise a chiamarlo in ufficio le riferirono che era fuori sede per lavoro. Paolo, aveva l’ufficio ad Acicastello, diverse volte, proprio perché vicino, si erano visti, fugacemente, nel porticciolo di Acitrezza, alcune volte avevano pranzato insieme con un panino, in macchina o raggomitolati, proprio come due bimbetti, dietro una barca, tenendosi la mano, guardandosi negli occhi, baciandosi teneramente con unici testimoni i faraglioni di Acitrezza. Al telefono le rispose Angelo, il segretario, - L’avvocato è partito per un congresso, ha bisogno di un appuntamento? - - No – rispose Marisa – avevo chiamato solo per un saluto, richiamerò tra qualche giorno, grazie. -

venerdì 12 luglio 2019

NON ANCORA

L'antico paese
Aveva chiesto informazioni alla padrona dell’albergo, una signora anziana che stava dietro il banchetto dell’angusto ingresso, sistemata e truccata come se stesse aspettando l’autista per andare a prendere il tè con un’amica: sembrava “la regina madre”… – Appena esce e va sulla sinistra si trova già nell’antica Marzamemi-, aveva detto, ed era proprio vero, imboccata la stradina notò subito, una dietro l’altra, come dei soldatini messi in fila, minuscole casette, tutte uguali, eppure, ognuna diversa dall’altra. Gli ingressi, ma soprattutto i muri bianchi di quelle “abitazioni”, corrosi dal vento, dal tempo e dalla salsedine, raccontavano, quasi urlando, le loro innumerevoli storie, fatte, sicuramente, di fame, di pianti, di attese, di chiacchiere della povera gente che ci aveva abitato. Marisa, esattamente come avevano detto le sue amiche, rimase, ancora una volta, ipnotizzata da quelle visioni! Arrivata in piazza, dove vi si trovava anche una chiesetta della stessa epoca, si sentì proiettata in una cornice naturale senza eguali, in uno scenario magico, dove le sembrò di percepire l’odore forte della storia, il caldo torrido dell’estate e le voci briose e suadenti di migliaia di gente venuta da chissà dove. Ora, in inverno, si sentivano solo il vento di ponente ed il grido imperioso del mare. Rimase lì a girovagare, come in trance, per diverso tempo, ammaliata dalle ombre delle persone che frettolose si muovevano per quelle strade che, anche se illuminate, rimanevano in penombra. Poi, accovacciatasi su un gradino, stringendosi di più nella sua sciarpa, cominciò a sciogliersi in un pianto liberatorio. Le scoppiava la testa per la disperazione, odiava e amava quell’uomo che aveva occupato la mente e ogni millimetro del suo corpo; aveva provato a staccarselo di dosso, c’era riuscita per parecchio tempo, ma una parte di sé, proprio quella che era rimasta attaccata a lui, era morta! Fu per questo che decise di rivederlo.
Quella notte dormì male, il rumore del vento, della pioggia che batteva sulle imposte, e delle onde che si infrangevano con violenza sugli scogli la svegliarono di continuo. E poi non faceva altro che pensare ad una giornata meravigliosa che, insieme, avevano trascorso sulla spiaggia antistante l’isola Bella di Taormina. Il luogo aveva un’atmosfera da favola, e non solo perché era lì con Paolo! Certo, godere di una località con la persona amata è un’altra cosa, ma quel posto incantava comunque! Era un “angolo di paradiso”, quante volte l’aveva sentito dire, e ogni volta Marisa aveva pensato al solito luogo comune di dire, ma entrando in acqua, con Paolo, e girandosi verso la spiaggia, si sentì proiettata come dentro ad un film, solo che la scena non era costruita ma reale! Alla sua sinistra, morbidamente adagiata sull’acqua, cera l’isola Bella con quella lingua di terra che in certi momenti affiora e dopo un po’ viene sommersa dal mare. Di fronte, la spiaggia bianca fatta di ciottoli, e dietro la riva un boschetto di pini marittimi che provocano, grazie ai nidi presenti, un assordante e continuo cinguettio che accompagna per tutto il soggiorno: e sopra i pini, in alto in alto, proprio in una delle grandi curve della strada che si inerpica verso Taormina, una balconata a picco sul mare. E poi la gente, tanta, tantissima, pronta a rubare ogni piccolo incanto di quel luogo per riempirsi il cuore di beltà. Ecco, lì era stata completamente felice, Paolo non smetteva di baciarla, di dirle quanto l’amava, in acqua i baci, misti all’acqua salata, diventavano più “morbidi” e stranamente più dolci! Marisa si sentiva in un sogno. All’alba tornò la quiete, così Marisa si addormentò. Si svegliò tardi, però c’era il sole! Dopo una rapida doccia scese giù e fece un’abbondante colazione al bar davanti l’albergo, poi si diresse veloce verso la piazzetta dove era stata la sera prima.
Rimase abbagliata da tutto quel bianco, di giorno era ancora più bello: il sole fa dovunque lo stesso effetto, caccia via le ombre e stimola il sorriso. Adesso vedeva le casette in modo nitido: certo erano case molto umili, non c’erano segni di “ Barocco “ o quant’altro, ma il fascino che emanavano quelle povere abitazioni non avevano nulla da invidiare a molti altri monumenti storici sparsi sulla Terra. Marisa, dopo aver girovagato, si appollaiò su dei gradini e cominciò a pensare ai suoi problemi, in fondo era arrivata sin là proprio per questo. Il sole era tiepido, nonostante il freddo invernale, e la piacevole sensazione le fece venire davanti agli occhi il volto amato di Paolo.

giovedì 11 luglio 2019

NON ANCORA

Il "Viaggio"
In preda a quella paura, che si era impadronita di lei, si recò alla stazione ferroviaria e chiese un biglietto per arrivare alla “ Baia delle tortore “. L’impiegato, prima, strabuzzò gli occhi, dopo, le disse che la località era inesistente. Marisa si scusò, nel suo vortice si era scordata di dare il nome del luogo e aveva dato il significato che gli Arabi gli avevano attribuito quando avevano dato vita al villaggio: ci aveva rimuginato tanto prima di arrivare alla stazione! – Scusi, desidero andare a Marzamemi, un biglietto per il luogo più vicino, grazie. - E così, nel pomeriggio partì, era un treno locale e quindi quel viaggio sembrò interminabile e la sua fuga più lontana. C’era poca gente sul treno, di questo fu felice, abitualmente parlava poco con gli estranei, nel caso specifico non voleva neppure aprire bocca, aveva tanti pensieri nella sua testa e tante lacrime pronte a sgorgare libere dai suoi occhi! Partì da Catania subito dopo pranzo e arrivò che già cominciava a fare buio. Durante il viaggio la sua mente non poteva fare a meno di pensarlo. Glielo aveva presentato un amico, gli era piaciuto subito. Alcuni parlano di alchimia: ecco, sicuramente c’era stata tra di loro, anche se, all’inizio, lei pensava che fosse una sensazione solo sua, ma si sbagliava, anche lui aveva provato lo stesso “incantesimo”. Un giorno, Marisa, passava, per motivi di lavoro, per la piazza Duomo ad Acireale, aveva incontrato un conoscente con il quale si era fermata per scambiarsi gli auguri di buon anno appena passato, mentre parlava con lui vide Paolo, il suo cuore fece un salto, non pensava che lui la riconoscesse, invece, appena lei lasciò il suo amico, lui le andò incontro di corsa, le fece gli auguri baciandola sulla guancia. Poi le chiese di prendere qualcosa al bar. Fu un momento che Marisa non dimenticò mai… Era Gennaio, e il freddo e l’umido che avvertì, recandosi nell’unico alberghetto che aveva trovato, era notevole, così, riposto il piccolo bagaglio all’ingresso, tirò fuori dalla borsa sciarpa, berretto e guanti e si incamminò verso la parte antica del paese.

mercoledì 10 luglio 2019

NON ANCORA

Marisa Se qualcuno glielo avesse chiesto lei non sarebbe stata in grado di riferire quale fosse il suo stato d’animo. Era, contemporaneamente, delusa, svuotata, amareggiata, disillusa, offesa, disperata, arrabbiata, … innamorata: follemente, disperatamente innamorata, ma convinta, con estrema lucidità, che era tutto finito per sempre! Tutto era accaduto senza che se ne rendesse conto, gli eventi si erano susseguiti quasi accavallandosi l’un l’altro senza che, né Marisa, ma forse nessun altro al suo posto, se ne potesse rendere conto. Era scappata, scappare era normale per lei, molti la giudicavano cinica, ma lei scappava per paura, per sottrarsi ad altri avvenimenti che avrebbero potuto farle ancora più male. Normalmente il suo fuggire consisteva nel sottrarsi agli eventi e agli altri. Stavolta, invece, era andata via, Marisa era scappata veramente, lontano, il più lontano possibile, e, in lacrime. Pensò di recarsi a Marzamemi, un posto meraviglioso baciato da Dio con tanto sole, mare, luce e magia. C’era stata l’estate scorsa con lui, approfittando di un suo impegno di lavoro nelle vicinanze. Era finalmente riuscito, dopo tanto tempo in cui lei lo aveva desiderato, a ritagliarsi una briciola di tempo tutta per loro. Era stata Marisa, poi, a scegliere la località. Non c’era mai stata, ma, le avevano parlato di quel posto le sue amiche, lo avevano visto in un film di Salvatores, “ Sud “, l’avevano descritto come un luogo che esprime silenzio, situato nella punta estrema della sua amata Sicilia come ultima frontiera. – Se devi scegliere tu un luogo là vicino, vai Marzamemi – le aveva detto, in modo particolare Maria, una cara amica che aveva conosciuto in palestra, e con la quale era entrata subito in sintonia – è un posto magico, ti piacerà, ne sono certa, ti conosco. Rimarrai incantata, forse più dal posto che da lui. - - Smettila di denigrarlo, – rispose Marisa - mi fanno impazzire i suoi impegni e i suoi problemi familiari: ma io sono folle di lui! - - Calma, calma, scherzavo. E chi te lo tocca! – Si, le poche amiche che ne erano a conoscenza non erano contente di quella relazione e Marisa sapeva bene che avevano ragione, ma il suo cuore di certi discorsi non ne voleva proprio sapere! Così, quando il suo istinto le gridò di darsi alla fuga, lei pensò proprio alla “ Baia delle tortore “: Sentì, dentro di sé, che in quel luogo avrebbe trovato un attimo di stasi per la sua mente che nel giro di pochi giorni sembrava impazzita: l’aveva lasciata, no, non era il termine giusto, l’aveva mollata, Paolo l’aveva scaricata, così senza nemmeno una parola...

giovedì 4 luglio 2019

siciliareport

https://www.siciliareport.it/editoria/la-postfazione/mariella-di-mauro-una-giovane-adulta-col-vizio-della-scrittura/?fbclid=IwAR2ilWsptXufyCWcVv6V42615_jFgILcIjZSXGJl2uWbppGRiXRyZp1w208Siciliareport

martedì 2 luglio 2019

Santa Tecla: il nostro mare

Da diversi anni ormai quasi tutte le mattine d’estate frequento una delle spiagge di Santa Tecla, una delle frazioni a mare di Acireale. Il luogo è veramente incantevole, ostico all’approdo di stuoie ed asciugamani ma ha acque limpide, pulite e cristalline. I bagnanti, le bagnanti, però, sono in numero maggiore, chiamano questo posto “La Baietta”, perché è una baia! Il luogo rispetto la strada risulta ad un livello molto più basso e una scaletta con ringhiera in ferro, costruita chissà quanti anni fa, facilita la discesa e, ancor di più, la ripidissima salita. Un piccolo paradiso terrestre se non fosse per un piccolo ma, fondamentale, problema: il nome. Gli abitanti di Santa Tecla chiamano il posto in modo al quanto colorito “a cacata”, chi non sa non capisce, sembra una forzatura, ma basta provare a scendere verso quel paradiso che si viene investiti da un odore ripugnante di escrementi. Ebbene si, la gente va lì a defecare e l’olezzo si sente forte quando si arriva e quando si va via. Il tutto accompagnato da fazzolettini sporchi e mosche che vi sostano allegramente. Certo, ogni tanto avere un bisogno impellente lontano da un bagno può capitare, ma il sospetto è che i protagonisti siano degli abitudinari e che per loro, forse, è un rito! Noi bagnati mattutini, però, ci chiediamo: PERCHE’?

Riposto: Etna mare

BUONGIORNO

lunedì 1 luglio 2019

La medicina nel Medioevo 1 e 2

Nel Medioevo ammalarsi era una cosa veramente problematica, nonostante le arie di pomposità che i medici ostentavano. Andavano a visitare i malati che potevano permettersi di pagarli su un ronzino, vestivano con un lungo mantello rosso bordato di pelliccia, a volte azzardavano anche divinazioni sul destino della persona malata, ma di medicina sapevano ben poco. Nel Medioevo, purtroppo, anche le conoscenze mediche risentono della crisi che fa seguito al crollo dell’impero romano d’occidente.I romani avevano appreso l’arte medica dagli etruschi che già costruivano protesi odontoiatriche, negli scavi di Pompei furono trovati attrezzi da chirurgo ( bisturi, sonde, aghi…), ma le invasioni barbariche sovvertirono lo stato sociale portando alla scomparsa della classe patrizia di Roma e, di conseguenza, alla perdita delle antiche e preziose conoscenze scientifiche. Le idee circa le origini di cure e malattie non erano comunque secolari ma basate su una generale visione della vita in cui il destino, il peccato, e le influenze astrali giocavano un grande ruolo, tanto da entrare in conflitto con la fede cristiana. L'efficacia di una cura, infatti, era più correlata alle credenze del medico, piuttosto che ad una evidenza empirica, e le guarigioni erano spesso subordinate ad interventi spirituali. C’era, quindi, una forte commistione tra malattia e peccato, l’uomo comune era fortemente convinto che Dio inviasse malattie come punizione dei peccati commessi e che, in questi casi, pentirsi e condurre una nuova vita potesse portare alla guarigione.
Inoltre, si riteneva che la malattia, la sofferenza fortificassero l’anima e lo spirito e avvicinassero l’uomo al paradiso. Anche se la medicina era considerata, da alcuni, una professione indegna per un cristiano, dato che la malattia era spesso considerata come inviata da Dio, molti ordini monastici, particolarmente i Benedettini considerarono curare i malati come il loro principale lavoro di carità. La medicina monastica si fonda sulla speranza che la misericordia divina possa portare alla guarigione, grazie al ricorso alla preghiera. I medicamenti venivano approntati all’interno dei monasteri e prevaleva il ricorso alle piante medicinali, coltivate direttamente dai monaci, quello che poi verrà chiamato l’orto dei semplici. Nacque così la figura di un esperto nel settore della cura, chiamato nel tempo “monachus infirmarius”, che stava in una piccola farmacia e curava i monaci, i pellegrini e i poveri che si recavano al monastero per chiedere assistenza.