domenica 31 marzo 2019

L'Italia nel Medioevo 1

Com'era l’Italia nel medioevo? Come si vedevano gli abitanti e che peso veniva riconosciuto al territorio dal mondo medievale? L’Italia e i suoi abitanti, a onor del vero, non avevano una vera e propria fisionomia, tutto ciò era dovuto, in prevalenza, alla forte identità che il paese aveva avuto nel passato glorioso. Era ancora vivo il mito dell’impero visto da un presente vinto da una decadenza politica, un paese senza una propria espressione, senza nome, un agglomerato di territori o di città ( Milano, Venezia, Napoli…). Un paese sottoposto alle organizzazioni dei vari popoli dominatori ( goti, bizantini, longobardi, franchi, normanni) che come animali famelici gli si avventano e se la contendono dal 410, data del sacco di Roma, al 1494 con la discesa di Carlo VIII re di Francia. Roma non è più “Caput Mundi”, la penisola non è il centro dell’impero, il territorio si degrada, si inselvatichisce, il latino cede il passo ai diversi idiomi della lingua volgare. Anche la politica è varia e variegata, il paese si frammenta agglomerandosi con poli di attrazione diversi con molteplici centri di potere. I sud cade in mano bizantina, e, dal IX secolo, degli Arabi, che dopo un iniziale periodo turbolento di razzie, riescono a far attecchire scambi regolari che permettono ad Amalfi di diventare il primo centro commerciale del Mediterraneo.

venerdì 29 marzo 2019

Vita Medievale 2

I poveri, al contrario, vivevano la giornata mangiando quel poco che veniva dato loro come “stipendio” per gli innumerevoli servigi ai padroni. Se c'era un bosco vicino, allora potevano mangiare funghi, piccola selvaggina, frutti selvatici o radici, ma dovevano pagare una quota per qualsiasi privilegio accordato loro dal proprietario, come, ad esempio, per poter far legna nei boschi, attraversare un ponte o far pascolare maiali e pecore nelle terre padronali. Altro cruccio dei poveri erano le richieste, da parte dei padroni, di prestazioni per la coltivazione della parte dominica, dette corvée “richieste” o anche opere o giornate di lavoro. In questo modo i proprietari terrieri si assicuravano la manodopera dei coloni del massaricio in momenti cruciali dell’attività agricola, quali quelli del raccolto, senza pagare nessuna manodopera, se non con delle miserie. Proprio per queste difficili condizioni di vita il tasso di mortalità era molto alto soprattutto nei bambini. Ma tutta la vita media era corta. L’alimentazione era misera, gli ambienti erano malsani, nell’unico ambiente dove vivevano, spesso, dormivano con loro i pochi animali per paura che nottetempo qualcuno glieli portasse via. Di conseguenza la promiscuità favoriva il proliferare di parassiti pulci, zecche, acari. I padroni si attorniavano di dottori i quali unico rimedio che avevano era quello di tastare il polso del malato e fargli un salasso. I contadini difficilmente durante la loro vita avevano a che fare con i medici, non avevano i soldi per pagarli e, soprattutto, non si fidavano, preferivano le cure con le erbe di qualche donna esperta che poi, soprattutto se le cose andavano male, chiamavano strega. Anche nel modo di vestire esisteva un grosso divario tra i ricchi e i poveri. I primi indossavano larghi cappelli e ampie tuniche bordate di pelliccia. Le donne avevano acconciature elaborate intersecate da ampi fazzoletti che arrivavano a coprire le spalle. Per i poveri era diverso, avevano solo un unico indumento, raramente due, le donne avevano vestiti lunghi e semplici con un grembiule bianco e il capo coperto da una cuffietta che serviva per proteggere la testa nel trasporto delle ceste o di quant’altro. Gli uomini avevano semplici cappelli e tuniche strette in vita da una cintura, e corta perché non ostacolasse i movimenti durante il lavoro. Vita dura nel medioevo per chi era povero! Una cosa, però era positiva fra loro, non c’era confine tra tuo e mio, la vita nei campi, il riposo, il piacere, il chiacchierare, si intersecavano coinvolgendo tutti i componenti della comunità: ognuno veniva chiamato con un appellativo, in genere del lavoro che faceva o riferito ad un particolare della persona, scomparivano i nomi e persino i cognomi. Altro particolare era il vivere tutto in comunità, spesso la giornata si svolgeva tutta fuori, nei campi, nei borghi, e quando arrivava un forestiero era interesse e novità per tutti, anche col rischio, come spesso accadeva, di imbattersi in dei veri e propri impostori ai quali i poveri contadini da “beoni” si affidavano per peggiorare, come se non fosse già disastrosa, la loro amara esistenza.

giovedì 28 marzo 2019

Vita Medievale 1

Come vivevano quotidianamente le persone nel medioevo? Quali erano le abitudini più comuni, come si vestivano, con cosa si sfamavano, quali erano, solitamente, le loro abitudini, i loro mestieri; come vivevano la morale, la religione; e che distinzione c’era tra la povera gente e i signori benestanti? Certo, per capire meglio una civiltà è necessario sapere come la gente vive ogni giorno. La giornata cominciava con il suono delle campane della chiesa alle sei, circa, del mattino: tutti, nel lasciare il proprio giaciglio, si facevano il segno della croce, indossavano gli indumenti per la giornata, sciacquavano mani e viso, ed erano pronti per la giornata. Quasi la maggior parte si recava a messa, la religione era, infatti, parte integrante di quella vita, il soprannaturale era un tutt’uno con la quotidianità. Nella vita medievale il mondo sensibile è popolato da presenze divine che intervengono nella vita della gente, essa era piena di pericoli, carestie, guerre, terremoti, pestilenze che erano sempre viste come opere demoniache o punizioni divine, così la gente, per proteggersi, si recava spesso in chiesa e partecipava ai riti, se poteva si sottoponeva a viaggi estenuanti, i pellegrinaggi, i più ricchi facevano affrescare i muri delle chiese con rappresentazioni sacre o facevano grossi donativi. Come erano le case nel medioevo è un po’ difficile definirlo, abbiamo, infatti, infinite testimonianze delle abitazione dei ricchi attraverso le descrizioni letterarie, la scultura, la pittura, o dai mobili antichi che sono arrivati sino ai nostri tempi. Delle case della gente comune si sa molto meno, nessuno pensava di immortalare nella pittura o nella poetica dimore dimesse che avevano, spesso, anche funzione di stalla. Di solito questi alloggi avevano un letto di assi con un materasso di paglia, pochissima biancheria, un tavolo fatto con i cavalletti, stoviglie di rame, un orcio per l’olio, sedie: non mancava mai un angolo per un tabernacolo con dentro il Crocefisso! I ricchi avevano case disposte su due piani e spesso con la cantina piena di botti di vino rosso e bianco, aceto, il torchio da uva. Avevano il letto con il baldacchino, diversi sacchi di grano, lenzuola, materassi, cuscini, tovaglie, asciugamani e, inutile dirlo, diversi vestiti, scarpe, mantelli… Per quanto riguardava l’alimentazione certo per i signori non era un problema, avevano tutti i cibi per sfamarsi, soprattutto la carne. Andavano a caccia, ricevevano ospiti illustri, e tenevano nei loro palazzi i giullari per rallegrare i loro sontuosi banchetti e le loro serate.

domenica 24 marzo 2019

Giordano Bruno

Bella esperienza la conferenza che abbiamo tenuto a Calatabiano presso l'associazione Il Vulcano su Giordano Bruno. Piacevolmente interessato il numeroso pubblico in sala.

Il motore del mondo 3

Prima di partire da casa aveva spedito un sms a Patrizia dicendole: “Perdonami Patrizia, ma io oggi non potrò starti accanto come avevamo da sempre sognato. So che tu mi capirai, mi sono innamorata, alla fine è toccato anche a me, e non posso fare a meno di vederlo anche per pochi minuti. Ti prometto che arriverò in tempo per firmare il tuo contratto di matrimonio, anche a costo di farlo con i Jeans e la canotta. Anche vestita così, in mezzo a tanta gente elegante, tu mi riconoscerai dal modo in cui brilleranno i miei occhi per la felicità. Ti voglio bene. Giulia”.

venerdì 22 marzo 2019

Il motore del mondo 2

Era il papà di un bambino che doveva essere operato per l’asportazione delle tonsille, lui era medico ma lavorava in un altro ospedale e così i suoi turni non gli permettevano di poterlo vedere, anche perché con la madre del bambino non si parlavano perché erano separati. Giovanni era molto cordiale, ma era molto più affascinante. Giulia si vergognava ma non riusciva proprio a distogliere lo sguardo dai suoi occhi ogni volta che si incontravano. Alcune volte lo aveva aiutato ad entrare fuori orario di visita. La sera prima del matrimonio Giovanni le chiese se l’indomani poteva aiutarlo ad entrare prima che lui iniziasse il suo turno, lei rispose di getto –certamente- pur sapendo che quello era il giorno del matrimonio di Patrizia, che doveva andare con lei dal parrucchiere, la doveva aiutare a vestirsi, a salire in macchina… ne avevano parlato per anni e sapeva benissimo che qualunque infermiere avrebbe potuto farlo entrare: ma lei non poteva evitare di vederlo, nemmeno per una volta! Mai aveva avuto questo bisogno per uno dei suoi uomini. Quella mattina si era messa in macchina per recarsi in Ospedale e adesso era lì sotto il sole cocente ad aspettare Giovanni, il suo amore.

mercoledì 20 marzo 2019

Il motore del mondo 1

“ Amor che move il sole e l’altre stelle”! Era proprio così che Dante recitava. Suo nonno diceva – eh, Giulia, non credere a tutto ciò che ti dicono, è l’amore il motore del mondo! – pensava che fosse un po’ matto, ma forse aveva ragione, se lei si trovava lì, in una giornata del genere, era solamente per amore: non l’avrebbe fatto per nessun altro motivo al mondo! Era il 7 luglio, giorno speciale perché la sua amica Patrizia, dopo molti anni di fidanzamento, contrastato ma felice, coronava il suo sogno. Lei le era sempre stata vicino sin da quando erano al quarto ginnasio e insieme scoprirono che il ” supplentino “ di Filosofia del liceo si interessava alla sua amica. Da allora avevano condiviso gli studi, l’amicizia, gli amori, solo che Giulia trovava solo dei ragazzi che lei riteneva poco maturi, Patrizia continuava quello che all’inizio sembrava un gioco. Insieme superarono gli ostacoli, insieme gioirono quando Carmelo, il non più “supplentino “ la chiese in sposa. Giulia le fu accanto nella scelta dell’abito bianco, per lei Patrizia era un’altra se stessa. Naturalmente era stata designata come testimone per le nozze, se lo aspettava, però quando Carmelo e Patrizia glielo comunicarono esplose dalla felicità. Cercò un abito bellissimo e attese con impazienza quel giorno. Qualcosa accadde, però, allimprovviso. Aveva cominciato da qualche mese il tirocinio in ospedale in Pediatria: fu proprio lì che incontrò Giovanni.

lunedì 18 marzo 2019

Buon Giorno

Hotel Trinacria si presenta al pubblico con Gabriella Puleo, Gaetano Pulvirenti, Antonio Foti, Ketty Sottile, Mariella Di Mauro.

domenica 17 marzo 2019

L'amore consapevole 4

Aveva trovato un altro impegno, proprio per riempire la sua solitudine, ma gli mancava Luigi, era la sua malattia. Un giorno, al Comune, conobbe Alessandro che dal primo momento cominciò a inondarla di telefonate, messaggi, “Questo si è innamorato”, diceva Luigi, ma poi aggiungeva “E’ uno abituato ad avere tutte le donne perciò non molla”. A Rita, Alessandro piaceva, era un uomo interessante, purtroppo non ce ne erano molti in giro, perciò anche se gli diceva che amava un altro le piaceva parlare con lui. Solo che lui non era solo, aveva una relazione, così Rita, quando lui la invitava fuori gli diceva che aveva già i suoi problemi così. E ne aveva davvero tanti, Luigi era sempre più impegnato e lei sempre più triste, aveva cominciato nuovamente a essere malinconica. Poi un giorno prese il coraggio, andò da lui e glielo disse così pacatamente senza urlare o piangere, “Luigi non ce la faccio più, preferisco soffrire e rassegnarmi che soffrire nel non vederti” e lui altrettanto pacatamente le rispose che aveva ragione che nessuno avrebbe potuto darle torto, “E’ triste e doloroso dirtelo, ma forse per te sarà la soluzione migliore”. Si abbracciarono appassionatamente, teneramente e tutto finì lì, ognuno rimase con l’amore nel cuore, entrambi coscienti che non c’era altra soluzione. Luigi, però, cominciò a non avere più pace, oltre alla mancanza dell’amore di Rita era tormentato dal fatto di averle precluso una vita serena: lei avrebbe potuto avere una vita da regina! Da quel momento in poi decise che si sarebbe adoperato per dare a Rita ciò che lui non era mai stato in grado di darle. Sapeva chi era la compagna di Alessandro, frequentava la sua parrocchia di Maria Santissima e spesso si confessava o parlava con lui, non era felice della sua vita, rimpiangeva ancora il marito che l’aveva lasciata e poi non era proprio il tipo giusto per Alessandro e quindi i litigi erano continui! Pensò, allora, di cercarla lui con una scusa e riaprire quel discorso fatto precedentemente: pian piano cercò di farle capire che doveva liberarsi di quella relazione che non le dava felicità ma solo litigi e ripicche, che vivere così non ne valeva la pena, meglio libera. C’era riuscito, sapeva essere convincente Luigi, e in fondo aveva ragione perché nessuno dei due era felice. Adesso era un po’ più in pace con se stesso, aveva fatto qualcosa per il suo grande amore, pur nella consapevolezza che in questo modo l’avrebbe persa per sempre, ma non si può pensare sempre a se stessi! Rita ancora non lo sapeva ma aveva le porte aperte, finalmente, e pian piano sarebbe volata verso la vita. Sicuramente non sarebbe stato facile ma a poco a poco avrebbe messo un po’ da parte Luigi per fare spazio nel suo cuore ad un amore meno avvolgente ma tenero e sicuro.

venerdì 15 marzo 2019

L'amore consapevole 3

Alcune volte andava a trovarlo nella parrocchia vicina quando mancava qualche catechista, essere utile le piaceva ma, man mano che passavano i mesi si rendeva conto che vederlo la faceva stare bene e battere il cuore. Non è nulla, si diceva, nulla che non si potesse tenere sotto controllo. Poi gli eventi cominciarono a diventare incalzanti, Luigi si era perdutamente innamorato di quella donna così forte e allo stesso momento così fragile. Non tollerava quell’uomo, il marito di Rita, che ogni giorno che passava distruggeva la serenità di lei così desiderosa d’amore e di tranquillità. Così cominciò a starle più vicino, sempre di più, con discrezione vista la posizione di entrambi, ma dolcemente vicino. Rita ne era felice ma ne aveva nello stesso tempo paura, non era il timore di tradire il marito, era lei che non poteva vivere una relazione così scandalosa. Lottò contro questo sentimento, ma alla fine crollò, era troppo infelice ed era troppo bello sentire Luigi vicino a sé. La prima volta non fu programmato, lei sperava sempre di farcela, di resistere a se stessa, ma alla fine si lasciò andare proprio come quando al mare ci si bagna tante volte i piedi e poi d’un tratto ci si tuffa. Lui pensava, conoscendola, che si sarebbe pentita, forse però non la conosceva abbastanza, quando Rita prendeva una decisione difficilmente tornava indietro, si rodeva dentro questo si: in quel periodo era giù di umore, del resto non aveva intrapreso una strada semplice, ne era consapevole. Sapeva che mai la loro storia d’amore sarebbe potuta diventare diversa da come era cominciata, Luigi amava essere prete e per nulla al mondo ne avrebbe fatto a meno, amava anche lei. Passarono due anni di amore, ansie, paure di essere scoperti, attese. Non si vedevano spesso, e lui, almeno apparentemente agli occhi di lei, non faceva salti mortali per vederla, lei si. Bugie a casa, spesso al lavoro. Vedersi li rendeva felici ma soprattutto ognuno rappresentava per l’altro la spinta a non arrendersi. Rita, però, era ossessionata dal marito e più volte arrivarono al punto di lasciarsi, ma lei si sforzava sempre per ricucire un rapporto logoro per amore dei figli. Poi un bel giorno lo lasciò, andò via di casa con i figli e non vi ritornò più. Ce l’aveva fatta grazie a Luigi, lui l’aveva fatta sentire viva e quindi doveva continuare a farlo, con il marito si sentiva la terra addosso ogni giorno di più. Certo vivere da sola non era facile, gli occhi della gente addosso, i conti da far quadrare: però era libera e non doveva più fingere o dire bugie. Per qualche anno continuò la sua storia d’amore bella e intensa come sempre, però più difficile, perché sola.

mercoledì 13 marzo 2019

L'amore consapevole 2

Sia per l’una parrocchia che per Pasteria, i fedeli avevano vissuto dei momenti toccanti, ringraziando Dio di aver mandato loro un parroco così infaticabile. Un giorno una sua parrocchiana gli disse se poteva dare un appuntamento ad una sua amica, Rita, che abitava, però, a Naxos ma che aveva intenzione di frequentare lì visto che lei era così contenta delle attività che vi si svolgevano, “Rita è una brava ragazza, non ha una vita familiare felice, ha bisogno di distrarsi così le ho consigliato di trovarsi un impegno sociale e dimenticare per qualche ora la sua vita” disse Marisa. Don Luigi rispose che sarebbe stato lieto se le loro attività potevano giovare a far star meglio qualcuno, in più avrebbero avuto un altro aiuto valevole, che poi era quello che serviva, “Tanta gente si, ma ci vogliono soprattutto persone capaci”, “Rita è capace” rispose Marisa. Rita andò alla parrocchia di Maria Santissima Annunziata nel primo pomeriggio, aveva voglia di impegnarsi e di fare qualcosa per gli altri, pensava mentre percorreva la via Duomo, però, che per lei una parrocchia o l’altra in fondo erano la stessa cosa, ma Marisa aveva insistito tanto, era così entusiasta del suo parroco e delle attività della sua comunità che le sembrò di farle uno sgarbo a rifiutare, così accettò. Al suo arrivo don Luigi stava sistemando dei fiori sull’altare, si girò sentendo entrare qualcuno, per un attimo i due si bloccarono, Rita non si aspettava di trovare un prete così giovane, era una cosa su cui non si era soffermata, anche se, ad onor del vero la sua amica lo aveva detto innumerevoli volte che era bello: si era bello pensò guardandolo così, con tutti quei capelli ricci lunghi e arruffati. Anche Luigi era rimasto sorpreso, l’aveva pensata come un persona dimessa, Rita invece era un tipo, una che si faceva guardare, i suoi occhi in particolare avevano un guizzo che appassionava! Certo, quello era stato un colpo di fulmine, di questo si erano resi conto entrambi, anche se non ne parlarono, perlomeno non all’inizio… Così Rita cominciò a frequentare assiduamente la parrocchia, le piaceva il suo compito, le piaceva, anche, parlare con don Luigi. Chissà, pensava Rita, se l’avesse incontrato prima, forse, la sua vita sarebbe stata diversa. Ogni tanto lui le chiedeva se era felice e lei si sentiva tanto in imbarazzo e deviava il discorso. Lei era un funzionario del Comune, era abituata a parlare con molte persone, lui riusciva a metterla a disagio. Spesso lo pensava e si immaginava la sua donna, nulla di più: lei aveva una famiglia, un marito, anche se la tradiva spudoratamente, tre figli maschi irrequieti che non le davano pace, lui…lui era prete.

martedì 12 marzo 2019

L'amore consapevole 1

la prima parte di un mio racconto.
Luigi amava il suo ministero! Nato e cresciuto a Solicchiata una delle sette frazioni del comune di Castiglione di Sicilia in provincia di Catania, paese lontano dai grossi centri, Randazzo, Castiglione, Giarre o Acireale, e dal vescovado, un borgo vuoto e senza prospettive. Nella parrocchia del Sacro Cuore, la sua parrocchia, aveva trovato un rifugio: ma la sua vocazione era vera, amava la gente e stava delle ore ad ascoltarla, anche se, ad onor del vero, la borgata che si snodava lungo la statale 120, aveva pochi abitanti, circa 600! Per sua natura era molto paziente, ma il suo essere prete lo portava ad esserlo ancora di più. Dopo l’ordinazione sacerdotale, il vescovo lo aveva destinato subito come vice-parroco prima e come parroco dopo nel suo stesso paese. La gente gli voleva bene e lui di questo ne era consapevole ed orgoglioso. “Hanno bisogno!” diceva quando riceveva qualcuno a tarda ora e già stanco. Don Luigi era veramente quello che si può definire un bell’uomo: alto, magro, capelli neri e ricci che gli davano un fascino unico, occhi azzurri, scrutatori, impassibili a volte, sornioni spesso. Parecchie delle sue fedeli ne erano invaghite, e lui lo sapeva ma quando qualcuno glielo faceva osservare faceva spallucce e sorrideva compiaciuto dicendo “Ma no!”. A trentadue anni il Vescovo decide di spostarlo dal suo paese e lo colloca come parroco di due parrocchie, Maria Santissima Annunziata di Calatabiano e la piccola chiesa di San Giuseppe della comunità di Pasteria che si trovava a pochi chilometri. Don Luigi ci sapeva fare con la gente e il Vescovo ne voleva approfittare per risollevare le sorti di questi due quartieri. Con il rammarico di tutto il paese, Luigi lascia la sua vecchia parrocchia e si stabilisce assieme alla madre nella canonica di una delle due chiese, quella più grande di Calatabiano in via Duomo. Luigi si ambientò facilmente nelle nuove realtà, era faticoso essere il parroco di due sezioni distanti fra loro e con tutte quelle persone nuove che non conosceva. Essere prete al suo paese era stato più facile! Ma lui amava la sua missione e man mano che il tempo passava erano sempre di più le persone che si avvicinavano alle attività parrocchiali, e più gente frequentava e più il suo fervore cresceva, miglioravano anche le funzioni in chiesa con più persone che lo collaboravano. Erano passati due anni e don Luigi aveva potuto celebrare un Natale come si deve: tanta gente alla novena, ogni sera “animata” da una famiglia diversa a cui era dedicata la messa.

domenica 10 marzo 2019

venerdì 8 marzo 2019

8 marzo

GLI UOMINI CHE UCCIDONO Senza demonizzare tutto il genere maschile, riflettevo sul fatto che sin da piccolissime ci hanno insegnato, con le favole, la figura del principe azzurro, forte, sul suo cavallo bianco che salva la povera e debole ragazza indifesa. Quest'immagine, è inutile dirlo, l'abbiamo accarezzata tutte, da piccolissime, e anche se cresciute abbiamo riscontrato negli uomini le stesse debolezze che abbiamo noi ci abbiamo creduto, abbiamo sognato. Ad ogni uomo che abbiamo incontrato abbiamo sperato che fosse il principe azzurro, giunto per salvarci. Spesso accade, ma quante volte, calata la maschera aurea, abbiamo trovato un uomo con i suoi limiti umani o un uomo che, davanti ad una donna intelligente o forte, si sente debole ed insidiato e risponde con quel dolce attributo che gli si dà nelle favole: la forza. Quella forza tanto esaltata, amata che fa paura alle donne, a tutte, anche alle madri di questi uomini che, davanti alla brutalità, si chiedono dove hanno sbagliato.

E ritorna l'8 marzo

“Siate femminili” ordina il mondo da millenni alle ragazze! Sembrerebbe, a primo colpo, una richiesta naturale, ma non lo è affatto, se così fosse non ci sarebbe bisogno di insistere! Con questo monito si chiede loro di essere e di comportarsi secondo alcuni valori che la società attribuisce alla femminilità: ad essere femmine. Ai ragazzi nessuno ha mai insegnato ad “essere maschili”, tutt’al più si chiede loro di essere uomini, di essere, cioè, intelligenti, con una forte volontà, con un notevole controllo degli istinti, con capacità di crearsi obiettivi, raggiungerli e avviarsi verso altri più elevati. Da secoli l’uomo e la donna non sono più due sessi compagni, ma solo opposti. Alla donna è stato chiesto, sempre, di coltivare solo ciò che la differenzia dall’uomo. L’uomo è audace, forte, rude, prepotente, impegnato nei problemi del presente e del futuro della specie umana. La donna “femminile”, invece, sarà debole, pavida, dolce, umile, frivola, impegnata esclusivamente da futili impegni quotidiani: una donna dotata di coraggio, forza, intelligenza speculativa e di autonomia sarebbe stata considerata miseramente mascolina, o, come solo noi apostrofiamo con il termine più colorito, “masculazzu”. Secolo dopo secolo, l’uomo non si è mai curato di come appare ma vuole essere giudicato per quello che fa, caso mai si interessa di ciò che indossa, perché dai vestiti, più o meno lussuosi, si evidenzia il suo livello sociale. La donna, invece, è valutata per ciò che è, la sua persona fisica in particolare. Apparire, per lei, vuol dire rinunziare ad essere, vivere per la propria immagine che le farà conquistare un uomo e trovare marito. Da questo intenso interesse del proprio aspetto nasce una limitazione della donna, la vanità. La sua avvenenza è l’unica arma per interessare l’uomo, più un’altra cosa: deve essere bella, premurosa, affettuosa ma anche riposante, non discuterà le decisioni dell’uomo, non penserà, ma accetterà con gioia le idee che il suo uomo le porgerà. In ogni Epoca che si è succeduta alla precedente, la donna è stata pronta ad adeguarsi ai nuovi modelli di femminilità e a rifarsi proprietà dell’uomo. Andando avanti nei tempi, ciò che si chiamava costume divenne Moda, e piacerà a tutti! Le donne per migliorarsi nell’aspetto, gli uomini per trarne nuovi vantaggi economici. Prima della Moda la bellezza era considerata un dono di natura: o c’era o bisognava rassegnarsi. La moda, con i belletti, le piume, i gioielli, le parrucche, i favolosi vestiti, fa capire che chiunque, agghindata con lo stile del tempo, può essere bella. A poco a poco, attraverso la moda, la donna comincia ad esprimere non solo il suo corpo, ma, soprattutto, la mente e lo spirito: è persona e non solo femmina. Nell’ultimo secolo, penso proprio che la donna abbia saputo svegliarsi dal sonno della sola femminilità e si è fatta pari all’uomo, rischiando, a volte, di virilizzarsi, ma in prevalenza è diventata una vera donna, cioè non ha più bisogno di utilizzare vecchi metodi difensivi (lusinghe, servilismo, furberie, civetteria calcolata…) per liberare con gioia lo spirito femminile senza rinunziare alla tenerezza, pazienza e grazia che ampliano la sua bellezza più che i cosmetici o i trattamenti chirurgici. Certo, nessuna donna sarà completamente libera fino a quando la maggioranza degli uomini non imparerà a considerarle pari a loro: cioè ad avere le stesse opportunità degli uomini.

lunedì 4 marzo 2019

presentazione Hotel Trinacria

Sabato 16 febbraio ci sarà la presentazione del mio nuovo romanzo breve "Hotel Trinacria". Invito tutti i miei amici a cui fa piacere esserci, veri e virtuali.

domenica 3 marzo 2019

State attenti!

Avviso: Ho una tempesta emozionale, vorrei uccidere!

Semel in anno licet insanire

Una volta l'anno è lecito impazzire, così recitava l’antico detto latino! Da sempre il Carnevale è stato un pretesto per rompere la monotonia e le piccolezze della vita, darsi alla pazza gioia, ridere, scherzare e, perché no, sentirsi addosso la forza di un leone! Così è sempre stato, anche nella lontana epoca borbonica la folla ritrovava ed esternava i suoi istinti repressi dalle tirannie del governo, forte dei travestimenti che permettevano di dare sfogo a vendette e rancori. I loro camuffamenti risentivano del dominio spagnolo e così si mascheravano di “Abbatazzi”, “Baruni” e “Manti”. Le donne dovevano rimanere chiuse in casa perché non era prudente uscire in mezzo alla folla travestita e, quindi, anonima. Durante il Carnevale erano frequenti le risse, chi aveva ricevuto qualche torto cercava di rifarsi, forte della maschera e della folla che rappresentava un rifugio, per poi incanalarsi in qualche vicolo semibuio! La festa veniva annunciata con i tamburelli dopo la ricorrenza di S. Sebastiano, poi il giovedì grasso la solennità incominciava ufficialmente. Gli “abatazzi” si procuravano enormi libroni, una parrucca bianca e l’abito di damasco del settecento, al collo un tovagliolo come quelli che portavano le persone infette: ma, il tizio, non era infetto di peste ma di estro poetico, un estro che certo non poteva essere ascoltato da donne e bambini! Erano “versi” con sale e pepe, parole grasse e sottintesi maliziosi, per uomini e donne, pulzelle e spulzellate, ricchi e poveri. I “baruni” invece indossavano un cappello a cilindro, calze lunghe fermate al ginocchio da nastri sgargianti, colletti giganteschi con esagerate punte, enormi cravatte, esagerate catene d’oro. Sotto i “manti” di seta, invece, si nascondevano le bellezze cittadine, il manto copriva e difendeva facendo respirare l’odore del peccato ma senza farne gustarne il sapore. L’aristocrazia, invece, partecipava ai balli organizzati a Palazzo di Città. Al loro passaggio, i nobili sopra le carrozze, lanciavano confetti e coriandoli che la folla, naturalmente, raccoglieva… Oggi il carnevale nasce con uno spirito diverso, possiamo dire che per noi carnevale è tutti i giorni: feste, cene, viaggi! Come è cambiata la vita, non abbiamo certo bisogno di una maschera per avere il coraggio di rifarci da una “tirannia” o per avvicinare una donna o un uomo. Eppure questa ricorrenza è sempre magica, attesa, amata. Fa parte dei nostri ricordi d’infanzia e inconsciamente, ogni anno, ogni acese ritorna bambino.