lunedì 29 aprile 2019

Conferenza a Calatabiano: 500 anni dalla morte di Leonardo

http://www.linformazione.eu/2019/04/calatabiano-ct-celebra-leonardo-da-vinci-a-500-anni-dalla-morte/?fbclid=IwAR1-3x5KYCUGYojUSYBAyhIQ5NpcvVAnn_0kpz5KiBfEhHf7QMYvvEmARNM

sabato 27 aprile 2019

L'Avventura di Roger

La mia favoletta illustrata che parla di una piccola storia di bullismo tra due pulcini: Roger e Bruno

Sicilia, Acireale e il puparo Macrì

Emanuele Macrì raffigura, per buona parte degli acesi, un illustre cittadino, un mito che, nonostante siano passati diversi decenni dalla sua scomparsa, era il 1974, ancora oggi rappresenta una chiara idea di personalità unica, di un personaggio costitutivo dell’essenza acese. Macrì non nasce ad Acireale, egli arriva in città grazie al suo padrino di battesimo Mariano Pennisi, amico dei genitori di Emanuele, fu lui che dopo il disastro del terremoto di Messina nel 1909 decide di allevare il bambino di soli pochi anni rimasto orfano a causa del disastro. Emanuele crebbe a fianco del Pennisi apprendendo l’arte dell’opera dei pupi e facendo sua la passione ed il talento. Divenne il suo erede ed esperto manovratore, responsabile e anche costruttore abile di pupi, nonché il divulgatore ufficiale in Italia e nel mondo di quest’arte particolare e sopraffina. Qualche anno fa, una triste vicenda, non la prima purtroppo, la proprietà per sopperire alle spese mette all’asta un bel numero di pupi degli anni 50. Purtroppo questa nobile arte richiede dei costi e non sempre il teatro è un’attrattiva per la città, e le spese, come si sa, devono essere affrontate. Forse ci vuole un lavoro costante se si vuole salvare una parte storica della nostra città. Penso che per far sì che anche i giovani possano nei tempi riconoscere l’importanza del puparo Emanuele Macrì l’Amministrazione Comunale dovrebbe indire un concorso, anche biennale, per portare gli alunni di tutti gli organi scolastici ad approfondirne la sua figura.

venerdì 26 aprile 2019

La banda dei reietti 2

I lebbrosi avevano un destino nero, erano costretti ad indossare i segni della loro differenza: il loro passaggio era annunciato da lontano dal suono di sonagli o dal rumore provocato dalle maniglie mobili di ferro della battola; erano, inoltre, obbligati ad indossare un cappuccio e un colletto di stoffa bianca, affinché la loro diversità fosse immediatamente visibile a tutti, anche da lontano. La follia non aveva valenza negativa e i malati di mente non venivano considerati causa di vergogna per i parenti e per la società e non ne erano esclusi anche se, erano costretti a portare un segno distintivo perché erano considerati posseduti dal diavolo: avevano, infatti, il capo rasato. Gli attori, i giocolieri, i mimi erano condannati dalla chiesa perché considerati, per il loro fingere e travestirsi, condizionati dal demonio. Persino i fabbri erano malvisti perché, costretti ad usare il fuoco, venivano assimilati agli stregoni. I pastori, invece, erano allontanati e sospettati perché per il loro lavoro a contatto con gli animali, si pensava avessero rapporti sessuali con le loro bestie. La sorte peggiore, però, era quella riservata agli ebrei. Da sempre su di loro gravava il sospetto, erano oggetto di scherno, rabbia, spesso venivano accusati di essere colpevoli di tutti i mali della società. Da sempre emarginati e diffidati, non potevano di certo avere una sorte migliore in una società classista come era quella del medioevo. Cominciano proprio in questo periodo ad essere costretti a vivere al di fuori della società “civile”, viene loro severamente proibito di praticare un numero infinito di attività lavorative proprio perché non avessero contatti con il “mondo”. Di li a poco, proprio nella “democratica” Italia, nasce a Venezia il primo ghetto.

martedì 23 aprile 2019

La banda dei reietti 1

Il medioevo buio e tetro amava creare più divisioni di quante già ce ne fossero! Molte erano le persone che venivano emarginate per i motivi più strani, nani, teatranti, vagabondi, mendicanti, prostitute, pazzi, omosessuali, ladri, furfanti, lebbrosi, ebrei. Il mondo medievale era molto colorito e vivace, peccato che queste persone erano costrette a vivere ai margini della società e, spesso, in contrasto con essa, estromessi da qualsiasi forma sociale, disprezzati, emarginati o perché negavano le regole vigenti o perché ne disprezzavano i principi morali: erano i reietti del medioevo. Risale proprio a questo atteggiamento di diffidenza nutrito nei confronti della malattia, sia fisica che mentale delle persone diverse che causò nel Medioevo l’esclusione dalla comunità dei lebbrosi e la segregazione dei malati di mente, poi, nell’età moderna. L’omosessuale era condannato dalla società per la sua devianza, la prostituta, invece, rappresentava il male, ma quello necessario perché garantiva all’uomo gli eccessi. Per alcuni, però, la sorte era strana, il ladro era un pericolo se rubava alla gente comune, se saccheggiava i ricchi per aiutare i poveri era un eroe. Quando si pentiva, poi, veniva reinserito, a differenza di altri emarginati, a tutti gli effetti nella società.

venerdì 19 aprile 2019

La chimera

"...Era il mostro di origine divina, lion la testa, il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco: e nondimeno, col favor degli Dei, l'eroe la spense..." ( Omero, Iliade, VI,223-226). Nella mitologia non sono rare le unioni che danno origine a creature orribili, deformi e mostruose. I miti antichi ci hanno tramandato mostruose creature, nate dall’unione di esseri diversi: la sfinge ad esempio è costituita da una testa umana unita ad un corpo di leone, mentre il busto di una donna ed il corpo di un pesce, è una sirena. Pensiamo poi ai centauri metà uomo e metà cavallo, alle arpie un misto tra donne ed uccelli o ai satiri gli uomini con le gambe di capra. La Chimera, altra creatura mostruosa, non ci è stata tramandata solo da Omero, anche Virgilio e Platone parlano della creatura tricefala. La figura mitologica della Chimera (dal greco capra) era sinonimo di una somma di vizi: la violenza del leone, la perfidia e l’oscurità del serpente, e la lussuria della capra. essere una chimera • • Fig.: essere un'illusione, una fantasia, un desiderio, un sogno bellissimo ma privo di concretezza e di qualsiasi possibilità di realizzazione. inseguire una chimera • • Fig.: perdere tempo in fantasticherie assurde e pericolose.

martedì 16 aprile 2019

La vita "Liquida" nella società post moderna

Sempre più spesso, nei social, nei salotti in tv o in alcune conferenze, torna ricorrente l’affermazione di “Vita Liquida”. Il fautore di questo termine è stato Zygmunt Bauman, sociologo, nato da genitori ebrei a Poznań, Polonia, nel 1925 e deceduto in Inghilterra il 9 gennaio 2017, all'età di 91 anni. Negli ultimi anni della sua attività le sue pubblicazioni si sono concentrate sul passaggio della società dalla modernità alla post-modernità, e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente stato solido e liquido di questa società. La sua teoria parla dell'incertezza che attanaglia la società moderna che, secondo lui, proviene dalla nostra trasformazione da produttori a consumatori. In poche parole, l’individuo si sente estraneo in una società dove è importante “non comprare l'essenziale”, ma “poter comprare per sentirsi parte della modernità”. Secondo Bauman la persona comune, il povero, nella vita liquida, cerca di adattarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi come gli altri, cioè non si sente accettato nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l'essere umano che, sempre più, vive relazioni usa e getta e, spesso, senza punti di riferimento ha, come unico desiderio, apparire a tutti i costi come fosse un valore. Però si tratta di un consumismo che non mira tanto al possesso quanto all'utilizzo temporaneo di oggetti di desiderio in cui appagarsi, trovandoli in breve passati di moda, obsoleti, e passando, quindi, da un consumo all'altro in una sorta di bulimia. Questo porta ad un consumismo ossessivo e ad una paura sociale e individuale che crea legami fragili e mutevoli che ci portano ad una vita incerta e inconsistente. Le situazioni in cui agiscono gli uomini in questa tipologia di società, si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è, quindi, in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. Per quanto riguarda ognuno di noi possiamo dire che non dobbiamo essere come l’acqua che prende la forma in base al contenitore in cui è stata messa. Per uscire fuori da questo sistema dobbiamo crearci e mantenere la nostra forma, è difficile e, sicuramente, nell’epoca in cui viviamo, non dà successo però ci fa sentire persone.

venerdì 12 aprile 2019

La Timpa di Acireale

E’ un orgoglio e un immenso piacere per noi acesi vivere e respirare l’aria e l’atmosfera della Timpa. Essa rappresenta una grande area di paesaggio unico e abbastanza integro e la più grossa fetta si trova posizionata in un esteso declino che arriva fino al mare. Il suo essere dal 1999 “Riserva Naturale” non le ha impedito, visto che è zona orientata, di essere utilizzata sia dal punto di vista agricolo che silvo-pastorale, per attività che non contrastano con la conservazione ambientale e paesaggistica. La riserva si estende lungo la costa da Capomulini (Gazzena) fino a Riposto. A partire dal 1500 il nostro litorale era vittima delle incursioni via mare, attacchi che mettevano in pericolo oltre che gli abitanti, soprattutto donne e bambini che correvano il rischio di essere presi e ridotti in schiavitù, anche le merci e i raccolti dei contadini. Per questo motivo, gli abitanti del luogo costruirono dei torrioni di avvistamento in difesa delle coste e dei centri abitati. Di queste torri o Garritte ancora oggi possiamo ammirarne l’aspetto, le ritroviamo a Santa Tecla, a Santa Maria La Scala dove venne costruito, pure, il bastione del tocco (1626) e ultima la “scala di Aci” (1670) ancora oggi maestosamente presente. Nelle Garritte le guardie segnalavano con fumo di giorno e fuoco di notte le “galee” dei pirati. Purtroppo, queste particolarità del nostro territorio oggi non sono adeguatamente attenzionate e tutelate. Le “chiazzete” sono spesso sporche e invase da erbacce. Che dire poi dell’Eco mostro che per anni si è mostrato in bilico in un piccolo spiano della Timpa? Solo da poco, l'ex sindaco di Acireale, ingegnere Roberto Barbagallo lo ha fatto abbattere.

giovedì 11 aprile 2019

Non fidarsi di Dio la Superstizione 2

Tra queste pratiche non sono ricordate però le numerose e varie azioni scaramantiche come i gesti apotropaici, o l’uso di amuleti (sappiamo quanto l’uomo sia debole e come si affezioni anche alle cose!); è invece sottolineato, con forza, l’uso superstizioso dei sacramenti e degli atti di culto: «Per esempio, quando si attribuisce un’importanza in qualche misura magica a certe pratiche, peraltro legittime o necessarie. Fare un pellegrinaggio, bere l’acqua di Lourdes o farsi il bagno, farsi il segno della croce… sono segni di forte spiritualità interiore, di una grane fede, fuori da ciò sarebbero solo atti scaramantici o, ancor peggio, magici. Attribuire alla sola materialità delle preghiere o dei segni sacramentali la loro efficacia, prescindendo dalle disposizioni interiori che richiedono, è cadere nella superstizione», si rischia di interpretare come ambigue le richieste di benedizioni o di altri sacramentali che persone semplici, invece, chiedono con grande fede. C’e poi da dire che la superstizione priva l’essere umano della libertà che Dio gli aveva dato, assoggettandolo a condizionamenti di ogni tipo che lo allontanano dalla vera dimensione umana. E’ l’uomo, infatti, che deve guidare il proprio futuro, con senso i responsabilità, sviluppando le proprie abilità e senza la pretesa di conoscere gli eventi futuri per dominarli. Sicuramente, i comportamenti scaramantici sono la manifestazione di una forma di paura di tutto quello che è sconosciuto perché ancora deve venire, e riversano, erroneamente, la fiducia in potenze non scientificamente dimostrate, che si esprimono in comportamenti propiziatori presenti quotidianamente nella nostra società altamente evoluta, e che magari proprio per questo si rifiuta di credere in Dio. Sappiamo tutti che oggi va di moda portare con se amuleti portafortuna: pendagli, metalli, oggettini vari. Vi sono compagnie aeree che eliminano i posti a sedere con il numero tredici o diciassette, o, nei grattacieli d’America, saltano dal dodicesimo al quattordicesimo piano per la convinzione diffusa che questi numeri portino sfortuna. La superstizione, poi, diventa magia quando si trasforma nel tentativo di dominare la realtà per attuare i propri desideri. La chiesa condanna la magia per i rischi a cui va incontro l’individuo ponendosi nel raggio d’azione del diavolo, e privandolo, così, della libertà che Dio gli aveva dato. La superstizione e la magia, quindi, si contrappongono alla fede perché affidando a forze misteriose quelli che sono solo i poteri divini, non fanno altro che negare la sovranità di Dio e ne confondono la sua visione di Padre buono e onnipotente.

martedì 9 aprile 2019

Non fidarsi di Dio la superstizione 1

Superstizione nel dizionario Garzanti della lingua Italiana viene spiegata come “Tendenza, determinata dall’ignoranza o dalla suggestione ad attribuire a cause occulte o soprannaturali gli avvenimenti che possono essere spiegati con cause naturali.” Sempre dal dizionario Garzanti sappiamo che il termine proviene al latino “superstitio”, derivazione di superstare “stare sopra”. Ma, che cosa produce superstizione? L’ignoranza, il non conoscere le cause di un accadimento e attribuirne la causa a cose diverse, o meglio, si privano i fenomeni delle caratteristiche proprie per attribuirle ad un ente esterno alla formazione dell’accadimento. Cioè non si è malati perché un insieme di cause concorrono a costruire il malessere che determina lo stato, ma si è malati perché cause esterne hanno indotto la malattia. In altre parole, la superstizione è l’attività mediante la quale si privano i fenomeni che determinano le cause di malattie o eventi, attribuendo il loro manifestarsi a una volontà diversa e al di sopra del fenomeno. La dottrina della chiesa parla dell’argomento della magia e della superstizione nel Catechismo della chiesa cattolica, gli argomenti si trovano all’interno della trattazione dei peccati contro il primo comandamento: “ Non avrai altro Dio fuori di me”. Vengono menzionate in modo distinto la superstizione, l’idolatria, la divinazione e la magia, accomunate dal fatto di «deviare» dal culto del vero Dio cercando strade alternative al riconoscimento esclusivo dell’unico Signore: «Solo al Signore tuo Dio ti prostrerai, lui solo adorerai» (Lc,4,8). Sempre nel catechismo della chiesa, la superstizione viene definita: «Deviazione del sentimento religioso e delle pratiche che esso impone». Tra queste pratiche non sono ricordate però le numerose e varie azioni scaramantiche come i gesti apotropaici, o l’uso di amuleti...

sabato 6 aprile 2019

Presentazione Hotel Trinacria

Presentazione Hotel Trinacria presso Mondadori bookstore.

La Sicilia e gli Arabi 3

Molte piante erano di origine tropicale e, quindi, con elevato fabbisogno d’acqua, i romani già le conoscevano ma fu solo con i nuovi sistemi produttivi che fu possibile coltivarle nei nostri giardini. Le nuove piante sono parecchie: la canna da zucchero, il papiro che per qualità eguagliava quello egiziano, le zucche, i cocomeri. Molto diffusa e consumata, anche per le presunte proprietà afrodisiache, era la cipolla che veniva mangiata, prevalentemente, cruda. Nuovi erano gli spinaci, conosciuti in Andalusia già nel XI secolo, i carciofi, le melanzane che dall’India giungono in Egitto, poi in Tunisia e nel X secolo in Spagna. C’era, poi, il riso, il lino ritenuto di ottima qualità, il cotone, i legumi, il sesamo, la manna, la malva. Famose erano le piante coloranti come l’indaco (azzurro), l’hennè (rosso), il guado (blu), il mirto per la concia delle pelli. Nelle zone con poca acqua si coltivavano altre specie di piante: l’olivo, il gelso, il noce, il carrubo. In città, e nei suoi rigogliosi giardini, non potevano mancare, ovviamente, le palme da datteri. Con gli arabi, dalla Spagna, arrivarono, naturalmente, gli agrumi, il banano, una nuova forma (nuova esteticamente) della vite. E poi le rose e, quello che è ormai, il nostro gelsomino: è impensabile la nostra Sicilia senza il suo sensuale e inebriante odore, soprattutto d’estate, sul far della sera, quando ancora persiste il caldo bruciante e mentre, timidamente, arriva un lieve alito di frescura che insieme porta con se il suo profumo, che, anche se lo conosci dall’infanzia, ti stupisce sempre e ti annebbia i sensi! E il profumo delle zagare di cui tutte le ville, i giardini o anche le più piccole case rurali sono ampiamente provviste?

mercoledì 3 aprile 2019

La Sicilia e gli Arabi 2

Il centro, che nel sec VIII fu fondato dai fenici, era limitato da un perimetro di mura e di torri, i musulmani cominciarono a costruire e a dare alla città un assetto diverso, andando oltre i limiti allora delineati. Edificarono, anche, un grande palazzo nella parte più alta della città, che poi prese il nome di “ Palazzo dei Normanni”: fu la prima grande sede governativa della Sicilia, e lo è tutt’oggi. L’amministrazione aveva ripartito la città in mestieri e commerci, i quartieri erano affidati ai gruppi etnici o ai gruppi militari che li abitavano. Oggi, dei tantissimi edifici arabi non ne è rimasto alcuno, sono stati tutti distrutti, a partire dall’XI secolo, in parte dai normanni, ma la parte decisiva, senza dubbio, la ebbero i cattolici spagnoli, votati com’erano a eliminare, esattamente come avevano fatto in Spagna, qualsiasi cosa potesse solamente offuscare la fede Cattolica. Ma, tornando agli arabi, Palermo, e tutta l’isola, grazie a loro, diventò protagonista di una nuova e grande civiltà. La più importante fu la radicale novità nell’agricoltura siciliana tanto da farla diventare una rivoluzione agricola. Gli arabi avevano come scopo primario salvaguardare la fertilità del suolo, da qui l’importanza della concimazione e dell’irrigazione che con loro diventa anche per noi siciliani un culto, basti pensare ai chilometri di “saie” che percorrono tutta la nostra terra, per fare arrivare l’acqua ai giardini arsi, nelle estati afose. L’acqua e il suo buon uso (macchine e mulini) consente di coltivare nello stesso terreno generi di piante differenti. Una tecnologia diffusa era la “noria” che si differenziava da quella romana perché le ruote erano provviste di ingranaggi ed erano azionate da forza animale. L’agricoltura siciliana nel periodo arabo fu ricca di molte specie; negli orti e nei frutteti si diffondevano piante che provenivano dalle paesi sottomessi al dominio arabo o prelevate da regioni ancora più lontane...

martedì 2 aprile 2019

La Sicilia e gli Arabi 1

La Sicilia e gli arabi La conquista musulmana della Sicilia sottrasse la nostra terra al dominio bizantino che aveva usato l’isola solo come una provincia da sfruttare, proprio come era avvenuto al tempo dei romani, quando esisteva solo il sistema latifondista e la monocoltura del grano che impoveriva la terra. La composita popolazione siciliana, dagli abitanti più antichi, quali sicani, siculi… mescolati a seguire con fenici, greci, romani e, ultimi, i bizantini, si sovrappose ai nuovi invasori: arabi, berberi, Persiani, in poche parole i musulmani. Il metodo di governo dei nuovi venuti era vario, esso spaziava dall’autonomia alla schiavitù; agli abitanti era concesso conservare la fede cristiana a condizione che la loro convinzione non diventasse atto pubblico, e, che, ogni cristiano versasse una tassa all’autorità musulmana. C’è, però, da dire che, durante il periodo di sottomissione agli arabi, la Sicilia vide rifiorire molte delle sue attività, soprattutto quelle agricole ed artistiche. Ne sono esempio le città, e quindi il comprensorio, di Palermo e Caltagirone. Palermo I greci avevano chiamato Palermo “Panormus”, cioè, tutta porto, proprio per la sua grande insenatura che fungeva da porto e, attorno al quale, sorgeva la città. Gli arabi storpiarono il nome in “Balarmuh” e fu proprio quello il nome che la città prese per sempre!...

lunedì 1 aprile 2019

L'Italia nel Medievo 2

Oltre al commercio, poi, i Musulmani trasmettono altre nobili tradizioni, artigianali ( lavorazione della ceramica e del rame ), delle tecniche agricole ( aranceti, limoneti e metodi irrigui ), alimentari ( cuscus ), culturali, tradizioni che verranno abilmente apprese dai normanni e da Federico II. L’apporto che l’imperatore dà al sud ( è famoso, per esempio, per la costruzione di castelli ) associato, anche, allo stile gotico settentrionale degli angioini farà si che il paese diventi facile preda oltre che degli angioini, degli aragonesi, e dei borboni. A Roma, invece, è il papato che acquista potere, non poteva certo che essere così dato che sin dai primi secoli era stata definita la città degli apostoli, poi, grazie alla capacità di molti vescovi, la sede del Papa e, verso l’XI secolo, il centro della Chiesa Cattolica. Altra peculiarità rilevante dell’Italia in epoca medievale sta in un evento singolare: il nostro territorio fin dall’XI secolo si caratterizza come il paese delle “ Città “. Le nostre città sono numerose, ricche, potenti, belle più che quelle di altri paesi. In queste centri si vive una forma politica particolare: mercanti e artigiani occupano un posto di primo piano insieme ai nobili, i quali scelgono di risiedere lì anziché nei loro castelli o nei loro feudi. Ciò che ha determinato queste caratteristiche deve essere cercato soprattutto nella particolarità dei mercanti italiani conosciuti e apprezzati, per il loro stile, in Italia e fuori Italia. Merito principale è stata la loro capacità di spostarsi assieme alle merci, ad afferrare la giusta valutazione dei prezzi e a sapere utilizzare il tempo. Altro fattore positivo, la realizzazione di una rete commerciale con corrispondenti nei luoghi più strategici. Altri punti a loro favore, una certa abilità nell’amministrare il denaro, unita ad una piccola cultura e quindi a saper scrivere, capacità che si rivela importantissima in questo esercizio. Elemento specifico, infine, dell’Italia medievale è l’arte: piazze, monumenti pubblici, palazzi, fontane, ne sono la chiara testimonianza, tanto da indurre molti artisti stranieri a venire in Italia per osservare e istruirsi.