domenica 30 giugno 2019

venerdì 28 giugno 2019

IL MITO DI ACI E GALATEA

Giovedi 27 presso il lido Ghenea di Acitrezza è stato presentato il libro di Pina Spinella Il mito di Aci e Galatea.
In uno scenario da favola con i Faraglioni e il quieto mare.
L'evento è stato organizzato da Ezia Carbone e Lella Pisano. Presente la responsabile del museo Casa del nespolo, Rita Foti.
La serata è stata abilmente moderata dalla giornalista Gabriella Puleo.

Figure Di Specchio

Presentato ieri presso il Salone degli Specchi nella città di Giarre, il romanzo di Lucio Paolo Alfonso " Figure di Specchio.
Ha presentato il libro la prof.ssa e scrittrice Marinella Fiume

Hotel Trinacria

Domenica 7 luglio ore 18,30 presso l'associazione culturale IL MIRTO corso Umberto 82 Acireale

Genova

Ore 9,37 il ponte Morandi non esiste più
Si ricomincia!

mercoledì 26 giugno 2019

Buona Serata da Acireale

Ananke di Cristiana Meneghin

Ambra è una ragazza semplice, testarda e follemente innamorata di Ithean. Il suo amico d’infanzia. Dopo aver vinto la sfida per gli Hartox, si è iscritta all’Università dei Laghi del Nord ed è convinta di avere la vita sotto controllo. Ma durante il Ballo Accademico, la festa che anticipa l’inizio dei corsi universitari, incontra Arhon. E tutto sarà diverso… Non credevo nell’amore, poi mi hai sorriso. Arhon, nei suoi capelli color cenere e lo sguardo che sa sciogliere, è quanto di peggio Ambra possa incontrare. Ribelle, arrogante e dal fascino irresistibile. È la persona più odiosa che Am Cristiana Meneghin ha esordito nel mondo editoriale nel 2016 con "Ananke" seguito da "Artemisia" ed “Eros” che compongono i primi tre volumi de “La Saga delle Gemme Dell’Eubale” poi "L'Ultima Notte al Mondo” ed “Eterno” scritto a quattro mani con Maura Radice; ha collaborato a delle antologie dal titolo "Io me lo leggo" e alla raccolta di racconti “Quando il fine non giustifica i mezzi”. I suoi romanzi sono in parte ambientati nei luoghi in cui vive: le alte cime del Piemonte e gli incredibili paesaggi pugliesi. Vi troverete all’interno i valori in cui crede: la lotta per i sogni, l’amore e l’amicizia. Collabora attivamente con libri.icrewplay.com scrivendo articoli che ruotano attorno al mondo dei libri. Se volete contattarla la trovate qui: https://www.facebook.com/cristianarecensoreautrice https://www.instagram.com/cristianameneghin

martedì 25 giugno 2019

Da Acitrezza Buona Notte

La Medicina nel Medioevo 1

Nel Medioevo ammalarsi era una cosa veramente problematica, nonostante le arie di pomposità che i medici ostentavano. Andavano a visitare i malati che potevano permettersi di pagarli su un ronzino, vestivano con un lungo mantello rosso bordato di pelliccia, a volte azzardavano anche divinazioni sul destino della persona malata, ma di medicina sapevano ben poco. Nel Medioevo, purtroppo, anche le conoscenze mediche risentono della crisi che fa seguito al crollo dell’impero romano d’occidente.I romani avevano appreso l’arte medica dagli etruschi che già costruivano protesi odontoiatriche, negli scavi di Pompei furono trovati attrezzi da chirurgo ( bisturi, sonde, aghi…), ma le invasioni barbariche sovvertirono lo stato sociale portando alla scomparsa della classe patrizia di Roma e, di conseguenza, alla perdita delle antiche e preziose conoscenze scientifiche.
Le idee circa le origini di cure e malattie non erano comunque secolari ma basate su una generale visione della vita in cui il destino, il peccato, e le influenze astrali giocavano un grande ruolo, tanto da entrare in conflitto con la fede cristiana. L'efficacia di una cura, infatti, era più correlata alle credenze del medico, piuttosto che ad una evidenza empirica, e le guarigioni erano spesso subordinate ad interventi spirituali. C’era, quindi, una forte commistione tra malattia e peccato, l’uomo comune era fortemente convinto che Dio inviasse malattie come punizione dei peccati commessi e che, in questi casi, pentirsi e condurre una nuova vita potesse portare alla guarigione.

Santa Maria La Scala

Buon Giorno

sabato 22 giugno 2019

L'alimentazione nell'antica Grecia

Essendo l’economia dell’antica Grecia basata, prevalentemente, sull’agricoltura, la cucina, e, quindi, l’alimentazione greca, era fondata sulla “triade mediterranea”, ancora tra l’altro attuale, del frumento, olio d’oliva e vino. Un’abitudine alimentare molto frugale che accomunava un po’ tutte le classi sociali. Le abitudini dell’epoca ci arrivano dai riferimenti letterari e artistici (ceramiche). I pasti giornalieri erano tre o quattro. La colazione era fatta con pane d’orzo e latte, fichi o olive. Consumavano anche dei dolci: TAGENITE, realizzati con farina di grano, olio, miele e latte cagliato. Il pranzo era sempre veloce e si consumava a mezzogiorno. La cena, invece, era il pasto principale. I cereali costituivano la base della dieta dei Greci di quel tempo. I due basilari erano il frumento e l'orzo. I chicchi di grano venivano ammorbiditi per immersione, ridotti in pappa, macinati e ridotti in farina che veniva impastata fino a formare dei pani o focacce che potevano essere gustate semplici o miscelate a formaggio o miele. Per la lievitazione i Greci utilizzavano un lievito di vino come agente lievitante. I pani venivano cotti in casa in un forno di argilla sostenuto da gambe. Oppure mettevano dei carboni accesi sul pavimento li coprivano con un coperchio a cupola e quando il pavimento era abbastanza caldo i carboni venivano spazzati via e i pani venivano posti sul pavimento caldo e il coperchio che era stato messo a coprire i carboni, veniva messo sulle forme di pane e ricoperto con i carboni accesi. L'orzo era più facile da coltivare, ma più difficile da panificare. Si ricavava un pane nutriente ma molto pesante, quindi, l’orzo, veniva spesso arrostito, prima di essere macinato, producendo una farina grossolana che veniva utilizzata per fare il maza, un piatto greco di base. Il consumo di pesce e carne era condizionato a seconda della condizione sociale in cui si trovava la famiglia; in campagna, la caccia consentiva il consumo di cacciagione costituita da uccelli e lepri. I contadini disponevano di aie con galline e oche. I proprietari terrieri più ricchi potevano avere delle capre, maiali o pecore. In città, la carne era costosa, ad esclusione delle carni suine. Ai tempi di Aristofane (400 a. C.) un maialino costava tre dracme, che equivalevano a tre giorni di salario per un dipendente pubblico. Le salsicce erano comuni sia tra i poveri che tra i ricchi. Il pesce era molto apprezzato e veniva consumato maggiormente sulla costa o nelle isole, fresco. Spesso veniva trasportato nell’entroterra e, quindi, in città.
La bevanda più diffusa era l'acqua. Andare a prendere l'acqua era un compito quotidiano delle donne. Per il vino faremo un discorso a parte. Una delle maggiori caratteristiche nelle antiche usanze della Grecia, era quella che gli uomini mangiavano separatamente dalle donne e se la casa non aveva abbastanza camere, le donne cenavano dopo che i loro uomini avevano finito. Nelle famiglie ricche, gli uomini erano serviti dagli schiavi. In quelle povere erano le mogli o le figlie che servivano il cibo al capofamiglia. In Grecia, c’erano altre due forme di pranzo sociale e di puro divertimento esclusivamente per gli uomini: il SYMPOSIUM e i SYSSITIA. I Sissizi erano come una sorta di club aristocratico o di mensa militare. Come i symposium, erano di dominio esclusivo degli uomini. A differenza dei symposium questi pasti erano contraddistinti dalla semplicità e dalla temperanza. Il Siymposium viene comunemente indicato come sinonimo di banchetto, ma il termine indica, esattamente, bere insieme o raduno di bevitori. Ed era il passatempo preferito dei greci. Il banchetto si componeva di due parti: la prima iniziava al tramonto ed era il pasto vero e proprio; la seconda parte era, prevalentemente, dedicata al bere. La serata iniziava con un brindisi a Dioniso. Seguivano svariate conversazioni o giochi da tavolo. Il più conosciuto era il Kòttabos: gli ospiti, adagiati su lettini con cuscini, cercavano di colpire un bersaglio, un piatto o un vaso, con il vino rimasto sul fondo della coppa. Generalmente il premio che spettava al vincitore era una mela, dei dolci, una coppa o il bacio della persona amata: i greci avevano una sessualità molto libera, quindi la persona amata poteva essere una donna oppure un uomo. I banchetti, però, erano strettamente riservati agli uomini, alle donne appartenenti alle famiglie era proibito mettere piede a queste feste che venivano organizzate solamente dai ricchi. I festini si svolgevano negli ANDRON, appartamenti degli uomini, che si trovava vicino all’ingresso. Solo alle ETERE era permesso partecipare ai banchetti. Erano delle donne molto belle, intelligenti e molto istruite, seguivano, infatti, le scuole dei celebri filosofi dell’epoca. Alcune volte si legavano ad un solo uomo con un contratto a tempo indeterminato e si impegnavano ad accompagnarlo a tutti i banchetti e si astenevano ad avere relazioni con altri uomini: quindi le loro tariffe erano altissime proprio per l’esclusività. Chiusa, per limite di età, la loro carriera, le Etere diventavano pie donne, dedite, cioè, alla religione e stavano vicine ai templi. Certamente, proprio per la loro presenza le donne perbene non potevano intervenire.
Naturalmente, come si è già capito, bevanda di elezione era il vino. Il vino di quell’epoca doveva essere di forte gradazione alcolica infatti era usanza berlo diluito: D’inverno con acqua calda, d’estate con quella fredda. Si consigliava di non bere molto, Dioniso diceva che le persone morigerate bevevano tre coppe: una per il brindisi, una per l’amore e una per il sonno. Chi continuava a bere si rivolgeva, coppa dopo coppa, alla violenza, ubriachezza, rissa, tribunale, attacco di fegato e infine alla follia e (soprattutto) alla distruzione del mobilio.

martedì 18 giugno 2019

L'ALIMENTAZIONE NELL'ANTICA GRECIA

Essendo l’economia dell’antica Grecia basata, prevalentemente, sull’agricoltura, la cucina, e, quindi, l’alimentazione greca, era fondata sulla “triade mediterranea”, ancora tra l’altro attuale, del frumento, olio d’oliva e vino. Un’abitudine alimentare molto frugale che accomunava un po’ tutte le classi sociali. Le abitudini dell’epoca ci arrivano dai riferimenti letterari e artistici (ceramiche). I pasti giornalieri erano tre o quattro. La colazione era fatta con pane d’orzo e latte, fichi o olive. Consumavano anche dei dolci: TAGENITE, realizzati con farina di grano, olio, miele e latte cagliato. Il pranzo era sempre veloce e si consumava a mezzogiorno. La cena, invece, era il pasto principale. I cereali costituivano la base della dieta dei Greci di quel tempo. I due basilari erano il frumento e l'orzo. I chicchi di grano venivano ammorbiditi per immersione, ridotti in pappa, macinati e ridotti in farina che veniva impastata fino a formare dei pani o focacce che potevano essere gustate semplici o miscelate a formaggio o miele. Per la lievitazione i Greci utilizzavano un lievito di vino come agente lievitante. I pani venivano cotti in casa in un forno di argilla sostenuto da gambe. Oppure mettevano dei carboni accesi sul pavimento li coprivano con un coperchio a cupola e quando il pavimento era abbastanza caldo i carboni venivano spazzati via e i pani venivano posti sul pavimento caldo e il coperchio che era stato messo a coprire i carboni, veniva messo sulle forme di pane e ricoperto con i carboni accesi. L'orzo era più facile da coltivare, ma più difficile da panificare. Si ricavava un pane nutriente ma molto pesante, quindi, l’orzo, veniva spesso arrostito, prima di essere macinato, producendo una farina grossolana che veniva utilizzata per fare il maza, un piatto greco di base.
Il consumo di pesce e carne era condizionato a seconda della condizione sociale in cui si trovava la famiglia; in campagna, la caccia consentiva il consumo di cacciagione costituita da uccelli e lepri. I contadini disponevano di aie con galline e oche. I proprietari terrieri più ricchi potevano avere delle capre, maiali o pecore. In città, la carne era costosa, ad esclusione delle carni suine. Ai tempi di Aristofane (400 a. C.) un maialino costava tre dracme, che equivalevano a tre giorni di salario per un dipendente pubblico. Le salsicce erano comuni sia tra i poveri che tra i ricchi. Il pesce era molto apprezzato e veniva consumato maggiormente sulla costa o nelle isole, fresco. Spesso veniva trasportato nell’entroterra e, quindi, in città.
La bevanda più diffusa era l'acqua. Andare a prendere l'acqua era un compito quotidiano delle donne. Per il vino faremo un discorso a parte. Una delle maggiori caratteristiche nelle antiche usanze della Grecia, era quella che gli uomini mangiavano separatamente dalle donne e se la casa non aveva abbastanza camere, le donne cenavano dopo che i loro uomini avevano finito. Nelle famiglie ricche, gli uomini erano serviti dagli schiavi. In quelle povere erano le mogli o le figlie che servivano il cibo al capofamiglia. In Grecia, c’erano altre due forme di pranzo sociale e di puro divertimento esclusivamente per gli uomini: il SYMPOSIUM e i SYSSITIA.

sabato 15 giugno 2019

domenica 9 giugno 2019

Addio Fantasmi di Nadia Terranova

Il romanzo di Nadia Terranova, finalista al Premio Strega, è ambientato a Messina, città natale dell’autrice. Il libro narra di una sosta di pochi giorni di Ida, una ancora giovane donna, andata via da ventenne a Roma, scappata da una situazione triste e stagnante da quando suo padre, lei ancora ragazzina, una mattina era andato via di casa non facendo più sapere nulla di lui. La protagonista torna, costretta dalla madre, per mettere in ordine o buttare le sue cose di bambina e adolescente, dato che la casa si deve svuotare, ristrutturare e vendere. Ma questo riordino più che materiale diventa psicologico. Nella casa Ida mette fuori e con fatica, come spesso accade ad ognuno di noi, le cose con quello che hanno rappresentato e cerca di buttarli via e con essi i propri ricordi, i fantasmi che insieme hanno composto e ancora gravano sulla sua personalità ed esistenza. Queste ombre riappaiono nel romanzo con un incedere lento e ripetitivo, mettono a nudo la sensibilità di Ida con la crudezza nella descrizione di certi momenti di vita quotidiana che un po’ tutti abbiamo vissuto. Si delinea una donna adulta ma ferma ancora alla sua adolescenza con quelle problematiche mai maturate. Quegli spettri da cui anni prima era scappata sono ancora lì che l’aspettano e li rivive uno ad uno mettendoli a nudo senza pudori e riuscendo, solo alla fine, a farli annegare nello stretto di Messina dandoli in pasto ad altre forme illusorie: Omero, Cariddi.

Acireale Sicilia Italia

Buon Giorno

sabato 8 giugno 2019

Le Fate

Oltre ad essere l’età dei barbari, dei cavalieri, dei principi, il medioevo è anche il tempo delle fate. La fata è un essere etereo e magico, una sorta di spirito della Natura. Il suo nome proviene dal derivato latino delle Parche, “Fatae”, ovvero coloro che presiedono al Fato o Fatum cioè destino. La patria delle fate è l’Irlanda, hanno sembianze di eterne fanciulle e presiedono al destino dell'uomo, dispensando vizi o virtù. Il popolino che da sempre ha vissuto accanto alla natura, ben più delle classi elevate, per spiegare certi fenomeni naturali diversamente, per lui, incomprensibili, per tutto il corso della storia, è dovuto ricorrere all'intervento del soprannaturale. Le prime fate che appaiono nel medioevo sono la proiezione delle antiche ninfe. Vengono per la prima volta ufficializzate verso la fine del medioevo e, naturalmente, prendono l'aspetto classico delle dame dell'epoca, che indossavano ingombranti copricapi conici e lunghi abiti colorati. Man mano che il tempo scorre, viene loro attribuita una verga (bacchetta) magica che possiamo ritrovare anche in mano alla maga Circe nell'Odissea.
In seguito ogni scrittore di fiabe ha aggiunto particolari al loro carattere. Le fate presiedono alla nascita di ogni uomo, sono amorevoli coi buoni, malevole e capricciose con i cattivi. Fanno, sin dalla culla, regali di doti e qualità che serviranno alla felicità o all’infelicità del loro “protetto”. Educano le persone a cui sono legate da simpatia, e le assistono in tutti i momenti della loro vita. Sono invisibili, ma qualche volta prendono sembianze umane ora di donna, ora in parte di donna con alcune membra di serpente, ora di cigni, ora infine fluttuano come piccoli fantasmi, come veli bianchi nella notte. Si mescolano ai viventi, e talvolta sposano qualche gentil cavaliere, per scomparire, magari, all'improvviso. Le fate le troviamo in quasi tutti i romanzi d'avventure del Medioevo, soprattutto in quelli del ciclo del re Artù e della Tavola Rotonda, come anche in quelli del ciclo carolingio, di Carlomagno e dei suoi paladini. Esse si occupano, anche, di crescere i loro prescelti, la fata Viviana fu l'educatrice di Lancillotto del Lago, la fata Morgana proteggeva il re Artù.
Andando avanti nel tempo, durante il Rinascimento, anche se ormai nessuno più credeva ad esse, si continuò a metterle nei poemi che derivarono da quei due cicli cavallereschi; le fate ebbero largo spazio in poemi come l'Orlando innamorato del Boiardo, l'Orlando Furioso dell'Ariosto, il Morgante Maggiore del Pulci, la Gerusalemme liberata del Tasso, la Regina delle fate di Spencer, Il sogno di una notte di estate di Shakespeare, per finire con Pinocchio di Collodi. Oggi, era dove la tecnologia è alla portata anche degli infanti, per quelle strane alchimie della storia, le fate sono tornate di moda: cartoni animati e innumerevoli statuine riempiono le vetrine dei negozi e le mensoline di camerette di bambine, adolescenti e, perché no, anche delle mamme!

giovedì 6 giugno 2019

LE TROIANE a Siracusa

RAPPRESENTAZIONI INDA SIRACUSA Teatro Greco spettacolarità della terra di Sicilia
Menelao ed Ecuba
Elena di Troia
Ecuba e la morte di Astianatte
Troia in fiamme

mercoledì 5 giugno 2019

Il viaggio di Pallino 2

Cominciò a miagolare disperato, non sapeva come uscire da quel posto, dov’era la sua mamma? Cominciò a correre con il cane che lo inseguiva, si rifugiava in un angolo e poi in un altro sempre con il cane alle costole. Poi qualcuno cominciò a gridare, voleva che il cane la smettesse, “maledetto cane, se ti prendo ti rompo le ossa!”. Queste urla fecero spaventare ancora di più il povero Pallino, il quale pensava alla mamma e a perché non lo aiutava. Intanto, dato che il cane non smetteva di abbaiare, l’uomo usci dalla casa e con un bastone cominciò ad inseguirlo, poi si accorse di Pallino e anche l’uomo, senza che gli avesse fatto nulla, se la prese con lui. Pallino cominciò a nascondersi dietro i cespugli, il suo cuoricino batteva forte forte, si graffiò, gli faceva male ma non si poteva fermare per leccarsi la ferita. Poi miracolosamente trovò un buco, ci entrò dentro e di colpo si trovò sulla strada, ma Pallino non sapeva dove andare, non sapeva più dove era la sua casa! Provò ad andare avanti, indietro, passavano le macchine veloci, no, non sapeva proprio cosa fare, aveva ragione la mamma lui era piccolo! Disperato si appiatti sul pavimento della strada e cominciò a miagolare, si sentiva perduto. La mamma, intanto, era tornata a casa e, entrando la macchina in garage, si accorse che Pallino non c’era, pensò che si fosse nascosto come faceva di solito, lo chiamò, gli mise i croccantini nella ciotola ma lui non usci. Non capiva, inizialmente, cosa fosse successo, poi si rese conto che il suo gatto, approfittando di una sua lieve distrazione era scappato. Era fuori di sé, come era potuto accadere, dov’era Pallino, lo aveva perduto per sempre? Non poteva certo rassegnarsi, così, uscì fuori e cominciò a cercarlo, prima lungo una
strada, poi per un’altra: ma di Pallino neppure l’ombra. Rassegnata tornò a casa, salì in terrazza, lo chiamò, gli fischiò come faceva spesso per chiamarlo: nulla! Scese in soggiorno e lasciò aperta la porta che dava sulla strada sperando di sentirlo miagolare, si affacciava continuamente ma Pallino non si vedeva. Dopo una mezz’oretta sentì un miagolio disperato, sperò fosse il suo gatto. Uscì per strada ma dopo averne percorso un tratto non c’era e non lo sentiva più miagolare. Tornò indietro e percorse l’altra, lo sentì nuovamente però non capiva da dove arrivava il miagolio, lo chiamò, gli fischiò, non lo vedeva. “E se si trova su un muro – pensava – come farò a prenderlo?” Poi lo vide, era ad un metro dal muro, appiattito a terra con gli occhi chiusi e miagolava disperato. Luisa lo prese, timorosa che fosse gravemente ferito, non sembrava, se lo strinse al petto e si avviò verso casa: il cuoricino di Pallino batteva a più non posso. “Tranquillo Pallino, sei con la mamma!” lo rincuorava. Arrivata a casa si accorse che, a parte lo sporco, aveva solo dei graffietti da nulla, tutto sommato erano stati fortunati lei e Pallino, poteva finire peggio. Lo adagiò su un tappeto, con un panno cominciò a pulirlo, gli disinfettò le ferite e poi cominciò ad accarezzarlo per acquietare lei e lui. Quando lo vide più sereno gli versò del latte nella ciotola e Pallino lo bevve. Era tranquillo ormai Pallino, il suo viaggio era finito, la sua mamma era venuto a salvarlo, poteva ricominciare la sua vita abituale con le sue solite monellerie e i graffi alla mamma! Avrebbe fatto il bravo gattino, proprio come voleva la mamma, promesso. Promesso?...

lunedì 3 giugno 2019

Il Viaggio di Pallino 1

Finalista ad un concorso di favole
Era arrivato un pomeriggio di agosto, piccolo, spelacchiato, smarrito. Era nato da appena un mese, aveva vissuto in un immenso giardino, o per lo meno a lui sembrava tale, felice con i fratellini e la sua mamma dalla quale lui, insieme ai fratelli e quasi a gara, si ciucciava il latte. Nel giardino correva e giocava tutto il giorno, e poi, sfinito, crollava dalla stanchezza e si addormentava aggrovigliato ai fratelli e alla mamma. Un giorno qualcuno lo prese e lo infilò dentro una scatola con alcuni fori da dove però non riusciva a vedere nulla. Era curioso di capire ma aveva tanta paura e così cominciò a miagolare, sembrava un cinguettio, tanto era flebile! Fuori gli dicevano “Fai il bravo che ora arriviamo” ma lui non capiva e rifugiatosi in un angolo della scatola continuava a miagolare. Poi la macchina si fermò, qualcuno prese la scatola e la diede a qualcun altro che la aprì. La donna sembrava felice di vederlo, quasi lo conoscesse “quanto sei carino” diceva “vieni dalla mamma, ti chiamerò Pallino perché sembri un batuffolo tondo così raggomitolato” lo tirò fuori dalla scatola e cominciò a saltellare dalla gioia stringendolo e accarezzandolo. Pallino non capiva nulla, era spaventato. Quel giorno e i giorni a venire graffiò diverse volte la sua mamma, a onor del vero continuò a farlo anche dopo, ma quel giorno aveva troppa paura, per di più, c’era anche i rumore fastidioso di una macchina che una signora usava che lo faceva impazzire! Col tempo Pallino si affezionò alla signora che ogni tanto veniva per usare quell’attrezzo che la mamma chiamava aspirapolvere, anzi quando c’era lei lui era contento, andava dove andava lei, camminava sulla
spazzatura, sul pavimento bagnato, saliva e scendeva le scale, si divertiva tanto, e la signora non si seccava! Man mano che il tempo passava, Pallino si abituò alla sua nuova vita, era bello stare lì, girare per la casa, salire sui mobili, sulle poltrone, sulle sedie: certo la mamma lo sgridava, ogni tanto si prendeva qualche scappellotto, però lo voleva bene, Pallino aveva imparato anche a fare le carezze e quando le faceva la mamma era felice, non lo sgridava, lo chiamava “amore”. Era bello vedere la mamma allegra, tante volte non lo era e lui non sapeva cosa fare e allora si metteva a guardarla e poi si addormentava. Quando passarono sei mesi dal suo arrivo, Pallino aveva più voglia di girare, un giorno saltò il muretto del terrazzino e salì sui tetti. Pallino si sentì libero e felice e anche se la mamma lo chiamava lui non si voltava, tanto la sentiva. Cominciò ad uscire ogni giorno e ogni giorno stava fuori un po’ più a lungo, girava per i tetti delle case vicine, si fermava a guardare gli uccellini che passavano, inseguiva le lucertole, guardava da lontano la signora che stendeva la biancheria come la mamma, ma non era la sua mamma, la sua mamma aveva i capelli lunghi e biondi, e poi gli fischiava e lo chiamava “Pallichicco vieni ti dò i croccantini”, lui ne era ghiotto! Quando aveva fame tornava di corsa a casa, si metteva dietro la porta e cominciava a miagolare fino a quando la mamma non veniva ad aprirgli. Quando la porta si apriva Pallino entrava di volata e andava subito in garage dove c’era la sua cuccia, la mamma lo rincorreva “Vagabondo, dove sei stato? Hai lasciato la mamma sola, monello!” e lo chiudeva fuori. Ma pallino sapeva, ormai, che dopo un poco gli avrebbe aperto e lo avrebbe coccolato
nuovamente, e dopo lui si sarebbe messo a dormire beato davanti alla stufa. Un giorno Pallino, più in vena del solito di scorribande, ne combinò una più grossa del solito. Senza che la mamma se ne accorgesse, proprio mentre lei chiudeva il garage dopo aver uscito la macchina, sgattaiolò fuori e in men che non si dica fu avvolto dal buio. Era elettrizzato da quella nuova esperienza, cominciò a correre anche perché una macchina, proprio quella della mamma, cominciò ad inseguirlo, lui fulmineo con un balzo saltò su un muretto e in breve si trovò in un giardino. Aveva un po’ di timore, ma imperterrito continuò il suo viaggio. Dopo un poco, arrivò su uno spiazzale dove c’era un pollaio, quelle galline appena lo videro cominciarono a starnazzare e si muovevano tutte verso la sua direzione, all’inizio Pallino si divertì a farsi rincorrere, ma poi, vedendosele tutte quasi addosso, cominciò ad avere paura e prese a fuggire, anche perché erano più alte di lui e lo beccavano tanto da fargli male. Dopo aver saltato un muretto, pallino pensò di essere al sicuro, era stremato, era caduto pure su una cosa che faceva lo stesso odore di quando la mamma accendeva la stufa e si era sporcato tutto di nero. Così cominciò a pulirsi e non si accorse che nel frattempo era sopraggiunto un cane. Quel cane odiava i gatti perchè lo stuzzicavano e gli rubavano il cibo mentre lui dormiva, vedendo Pallino lo scambiò per un randagio e cominciò ad abbaiare ferocemente per azzannarlo. Pallino, dallo spavento, fece un salto incredibile, non capiva cosa volesse da lui quell’energumeno con le fauci spalancate come se volesse mangiarselo, lui non era stato monello, non gli aveva fatto nulla.