sabato 4 aprile 2020

IL VENTI DI GENNAIO

Ogni anno, ad Acireale, a fine Novembre, gli acesi recitano una tipica tiritera:”o quattru Barbara, o sei Nicola, o tridici Lucia e o vinticincu lu Missia”.La filastrocca è tipica della Sicilia ma gli acesi aggiungono“e o vinti di Innaru, Sammastianu”.San Sebastiano non è il santo protettore ma il compatrono, assieme a Santa Venera che viene festeggiata in estate, ma i suoi fedeli sono più numerosi e, soprattutto, più festosi.Il culto è legato ad un male antico:la peste.Anche se il Santo fu Bimartire, martirizzato la prima volta con le frecce poi con bastoni chiodati, viene raffigurato ucciso dai dardi, perché, rappresentavano il simbolo del contagio, della trasmissione della malattia.Inizialmente veniva venerato in una piccola chiesa ma, visto il grande numero di fedeli, si sentì la necessità di una nuova sede più grande e più maestosa, adeguata, cioè, all’importanza che il Santo acquisiva, anno dopo anno, in Aci e nel territorio circostante.La chiesa, eretta in suo onore, risultò semplicemente maestosa, tutta bianca di pietra arenaria e calorosamente Barocca.La festa, poi, è sempre un vero tripudio!Non c’è acese che non vi parteci e tantissimi sono i devoti con i maglioni e i fazzoletti in testa color beige e bordati rosso.Il 2020, questa strana combinazione numerica, mi ha fatto tornare in mente anni di feste.Mi sono resa conto che ogni periodo rappresenta un fase diversa della mia vita, e ogni volta ho dovuto rinnovarla e iniziarne una nuova.Quante vite cambiamo per continuare a vivere e rimanere a galla! Piccolina andavo alla ricorrenza accompagnata dalla mamma, prima in chiesa per la messa e poi fuori ad aspettare l’uscita trionfale del Santo. Non amo la folla e non l’amavo neppure allora. Minuta e gracilina, attorniata da quella moltitudine di persone, mi girava la testa, soprattutto, se ancora non ci aveva raggiunto papà. Certo incontrarsi in mezzo alla folla non era facile ma ciascuno aveva un punto preferito dove collocarsi ogni anno. Mia madre e le mie zie dicevano che non era difficile individuare mio padre perché era alto e la sua testa emergeva tra tutti. Io bambina mi mettevo sulla punta dei piedi, felice, per avvistarlo, orgogliosa. Quando c’era lui ero più tranquilla e al sicuro. Spesso mi prendeva in braccio per ripararmi dalla folla che spingeva con forza e per farmi vedere l’uscita impetuosa del Santo. Da piccola il nostro punto di ritrovo era in piazza, non in centro, troppo pericoloso! Ci mettevamo quasi ridosso al muro dove oggi c’è una gioielleria, allora c’era un negozio di scarpe. Negli anni a seguire ci posizionavamo in via Ruggero VII, davanti al negozio di Campione, il ferramenta. Un ricordo particolare del venti gennaio, alcuni anni dopo, è quello di quando andavo all’ultima classe delle scuole superiori: quell’anno non ci fu vacanza ma ci fecero uscire alle 11. Insieme ad una compagna di classe decidemmo di andare assieme all’uscita: non sarebbe stato difficile rintracciare i miei, io avevo il mio segreto, il mio papà era alto, lo avrei visto sicuramente, anche perché, nel frattempo io ero cresciuta ed ero diventata anche altina e sarebbe stato più facile trovarlo. Ricordo le corse e le risate così fragorose solo come le ragazze di quell’età e spensierate possono fare, ridendo e anche beffandosi del destino che magari sarcastico li sta a guardare e ad aspettare! Per arrivare in orario percorremmo la via Atanasia e poi i vicoletti che ci facevano accorciare la strada e ci avrebbero dato la possibilità di arrivare in tempo, anche se già sentivamo il fragore dei fuochi e le campane suonare. Per un acese il suono di quelle campane uniti ai botti rappresenta uno scuotimento del cuore, un’emozione che ti fa rabbrividire più del freddo gelido di gennaio! Un altro venti gennaio impresso nella mia memoria è quello del 1990 quando mi trovavo a Roma in visita a mia sorella in ospedale. Avevo chiamato la Grasso Viaggi per il volo, allora l’agenzia si trovava vicina alla Basilica di San Sebastiano, mancavano due giorni alla festa ed io, senza rendermene conto avevo chiamato alle 11 l’ora in cui, da sempre, le campane suonano ripetutamente per ricordare l’imminente evento. Ricordo come fosse adesso i brividi provati nel sentirle e la voglia di essere a casa e senza gli incubi di quei problemi. Roma città da sogno ma con quel peso sul cuore e il desiderio di essere a casa nella quotidianità! L’anno seguente non andò meglio, mia sorella era stata fatta tornare perché le condizioni erano gravi ed io, proprio il venti mi recavo a trovarla a casa in un’Acireale deserta perché tutti si trovavano ad onorare il Santo: ricordo le lacrime scendere sul mio volto, roventi come il fuoco. Quel pomeriggio, quando il Fercolo passò sotto casa, l’emozione fu forte. Non mi affacciai al balcone ma rimasi dietro i vetri triste. Qualche anno dopo ebbi l’opportunità di essere ospitata in uno di quei palazzi antistanti la Basilica, proprio quello che, da piccola, naso in su, guardavo invidiando le persone che con molta semplicità potevano assistere all’atteso rito dell’uscita. L’invito mi risultò gradito, apprezzavo quell’opportunità. Era bello entrare in quella casa antica di struttura e di arredamento Liberty che per l’occasione apriva il salone delle feste e le rispettive porte sulla piazza, tante e tutte adorne di trine pregiate come solo in Sicilia le donne sanno fare. Quella possibilità si ripeté per qualche anno e ancor oggi sono grata ai Cirelli per quel regalo. Quest’anno, poi, il numero venti si ripropone. Venti non è un numero qualsiasi e arrivare ad un amore di tanti anni non è una cosa da nulla. Un amore che non bisbiglia, che fa rumore, tanto, non fuori, quello è frastuono, caos. Il mio amore fa rumore dentro, ti scuote, ti sconvolge, ti cambia, ti migliora, ti dà la carica, ti dà la vita, e tu vai e voli sul mondo e le sue bassezze e dolori. Ma lui ti fa sognare e così le meschinità dell’umano le superi. Negli ultimi anni non mi reco più in piazza all’uscita del Santo, la folla mi preoccupa molto e così guardo l’evento dal maxi schermo in piazza Duomo e lo aspetto lì: lui sopraggiunge, una volta arrivava con impeto ma, ormai, sempre più lentamente per questioni di sicurezza, poi sosta un pochino ed io, con un’immensa emozione lo saluto e gli chiedo di accompagnarmi negli imprevisti e nelle nuove situazioni che il nuovo anno porterà. Mariella Di Mauro

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